Anche Amnesty ha cambiato colore: ieri l’organizzazione ha acquistato una pagina del New York Times, tutta colorata di verde (mettendo da parte per un giorno il tradizionale giallo e scegliendo il verde, come il fazzoletto simbolo del movimento in Argentina, il pañuelazo) a sostegno della battaglia delle donne argentine: «Il mondo vi sta guardando», ha mandato a dire Amnesty ai senatori di Buenos Aires.

 

Il mondo guarda e partecipa. Da giorni tantissime città sono scese in piazza in solidarietà con le argentine. A Roma la chiamata è arrivata dalla Casa Internazionale delle Donne: alle 19 davanti all’ambasciata argentina di Piazza dell’Esquilino, sotto gli slogan #8A (8 agosto, ieri, giorno del voto) e #AbortoLegalYa.

Poche ore prima era toccato a Madrid e Salisburgo. Sempre in Spagna, Malaga, Saragozza, Barcellona. E ancora cortei in Giappone, Australia, Olanda, gran Bretagna, Belgio, Stati uniti, Francia.

Ma soprattutto nel resto dell’America Latina: secondo i dati del Guttmacher Institute, per il 97% delle 345 milioni di donne del continente un aborto legale e sicuro è un miraggio. Dei 23 paesi sudamericani e dei Caraibi, l’aborto è legale solo a Cuba, Porto Rico, Guyana e Uruguay. In sei paesi è totalmente vietato (Nicaragua, Honduras, El Salvador, Repubblica Dominicana, Haiti e Suriname). Nel resto degli Stati è legale solo in caso di stupro, malformazioni del feto o rischi per la vita della madre.

E così in questi giorni in Brasile si è marciato a San Paolo, Porto Alegre, Belo Horizonte e a Rio de Janeiro, di fronte alla sede della Camera; in Bolivia a La Paz, davanti al consolato argentino («Ci uniamo al pañuelazo globale per il diritto a un aborto libero, sicuro e legale», dice il comunicato delle organizzatrici); e poi in Messico, Perù, Costa Rica.

E di nuovo in Cile, dove già il 25 luglio si era svolta un’imponente marcia «a sostegno delle compagne argentine» con decine di migliaia di donne: tre di loro sono state accoltellate da membri del gruppo di ultradestra Social-Patriot Movement.