Nell’angolo del suo giardino ombreggiato da robusti alberi di limoni, Salwa, una attivista di Haifa dei diritti della minoranza araba, risponde con riluttanza alle nostre domande sul destino che avrà la Mustarake, la Lista unita araba, alle elezioni del 23 marzo. «Nel giro di qualche mese è diventato tutto così precario, i nostri rappresentanti (alla Knesset) si sono divisi e tanti (arabo israeliani) dicono che non voteranno più per la Lista, anzi non andranno ai seggi elettorali…forse è una conseguenza della pandemia…», commenta con ironia. Uno sfogo comprensibile. La Lista Unita, fronte elettorale dei palestinesi con cittadinanza israeliana, che alle elezioni del 2020 fa aveva ottenuto un ottimo risultato diventando un punto di riferimento anche per migliaia di israeliani ebrei stanchi della corsa al centro di Laburisti e Meretz, martedì rischia il tonfo e di scendere da 15 a 8-9 seggi. «La nostra gente» aggiunge Salwa «è stata ferita dalla frattura nella Lista unita. Mansour Abbas ha rotto con gli altri partiti arabi e ha oltrepassato una linea rossa che non credevamo fosse superabile da un palestinese».

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Mansour Abbas. Un nome e un cognome che non dicono nulla all’estero. In Israele al contrario in questi giorni sono sulla bocca di tutti. Dentista residente nel villaggio di Maghar, deputato, islamista e leader del partito Raam, potrebbe passare alla storia della politica israeliana garantendo, sia pure con un appoggio esterno, al premier di destra Benyamin Netanyahu i seggi per formare una maggioranza di governo. Che Raam riesca, sganciato dalla Mustarake, a superare la soglia di sbarramento del 3,25% è una possibilità remota. Ma per la prima volta qualche giorno fa un sondaggio lo dava nella Knesset. Nella storia di Israele non sono mancate forze politiche arabe non nazionaliste che hanno appoggiato i partiti sionisti. Il Partito arabo democratico (ora si chiama Maan) per lungo tempo è stato una appendice dei Laburisti. Ma erano relazioni all’interno del centrosinistra. Invece Abbas vuole portare il suo partito islamista a un’alleanza concreta con la destra e con Netanyahu che pure nel 2018 chiese e ottenne l’approvazione della Knesset della legge fondamentale «Israele-Stato della nazione ebraica» che sancisce la cittadinanza di serie B degli arabo israeliani.

Abbas spiega la sua «svolta» con l’urgenza di risolvere, anche attraverso un patto con la destra, i problemi che affronta la minoranza palestinese in Israele (un milione e 900mila, il 21% della popolazione) dalla mancanza di risorse per i suoi centri abitati fino alla criminalità responsabile lo scorso anno di 95 omicidi (quest’anno già di altri 26). Il desiderio di Abbas «di affrontare i problemi» alleandosi con il più forte trova maggiore ascolto nei villaggi arabi più poveri. «Abbas non se ne rende conto ma ha soltanto fatto un favore a Netanyahu. Il primo ministro ha compreso come butta il vento e va in giro proclamando di essere un buon amico dei cittadini arabi. Ma fino a qualche mese fa li considerava pericolosi», ci dice la giornalista Nahed Dirbas. Così Netanyahu ora è noto anche come «Abu Yair», in arabo il papà di Yair, dal nome del suo primo figlio, e in campagna elettorale è andato in cerca di voti a Nazareth, Umm el Fahem e altri centri della Galilea. Secondo un sondaggio il 25% dell’elettorato arabo israeliano afferma che voterà per i partiti sionisti il 23 marzo e la metà di essi per il Likud. L’analista Wadie Abu Nassar non ha peli sulla lingua commentando le scelte di Mansour Abbas. «In questo paese gli islamisti – ci dice – sono alleati naturali della destra perché non accettano il programma progressista, specie nei diritti civili, degli altri partiti arabi».

«Baladi», il mio paese, è un brano recente di una giovane e brava artista di Nazareth, Haya Zaatry, che in modo soft ribadisce l’identificazione dei palestinesi con la Palestina storica. Ma qualcosa cambia. A livello sociale, nella vita di tutti i giorni, malgrado le discriminazioni di uno Stato che dal 2018, anche per legge, «appartiene» alla maggioranza ebraica, è visibile un processo di integrazione di una porzione di arabo israeliani. A esprimerlo è, non a sorpresa, la classe media, formata da professionisti e piccoli imprenditori, che vuole contare di più e guarda ai partiti sionisti. E non manca chi apprezza l’Accordo di Abramo, firmato lo scorso anno da Netanyahu con quattro paesi arabi, perché ricongiunge gli arabo israeliani con la parte di Medio oriente da cui erano esclusi. Le elezioni di martedì diranno di più su questo fenomeno. «Per me è ancora di piccole dimensioni» afferma Wadie Abu Nassar «contano piuttosto la delusione, la frustrazione di una minoranza ampia, che vuole pesare di più, ma senza rinunciare a suoi diritti».