Sul canale YouTube Documentalia è stato reso disponibile di recente un corpus di cinema militante italiano degli anni Settanta: si tratta di 17 tra film e sequenze realizzate dal Collettivo e dal Movimento Studentesco Milanese digitalizzate e acquisite dall’Archivio Nazionale Cinema Impresa (Csc) di Ivrea. Il recupero è stato possibile grazie alle ricerche del regista Ranuccio Sodi che di quel gruppo fece parte con, tra gli altri, Franco Campigotto, Francesco Cavalli Sforza, Goffredo Fofi, Yervant Gianikian, Tanino Musso, Rita Rossi, Ercole Visconti, Guiomar Parada.

Tra questi materiali c’è Autonomi alla Scala: poco più di dieci minuti in bianco a nero girati nel 1976 per documentare l’azione di protesta dei Circoli Giovanili. Blocchi stradali, coppie eleganti che dai taxi corrono nel foyer, scontri, feriti, arresti e cellulari che partono verso il commissariato. Il filmato è muto ma sono le immagini e il loro montaggio serrato a parlare di un’epoca e di un sentimento di rivolta che scuoteva la società alle sue fondamenta.

Sono testimonianze di un decennio – che va dalle grandi manifestazioni della fine degli anni Sessanta, attraversa l’autunno caldo, fa i conti con la strategia della tensione prima e con gli «anni di piombo» poi – filtrate dal linguaggio, dalle preoccupazioni e dallo sguardo partecipe degli operatori militanti. Militanti poiché concepivano il cinema come arma di lotta politica, di controinformazione o di informazione tout court quando si trattava di mostrare quel che i mezzi di comunicazione di massa non mostravano. Fabbriche, scuole, università, strade, piazze, case occupate diventavano scenari necessari per studenti, operai e intellettuali che grazie alle cineprese leggere prima e alle videocamere poi si cimentavano in un racconto della realtà distante da quello che veniva prodotto dalla televisione e dall’industria cinematografica, foss’anche dal «cinema politico» dei Rosi, dei Petri, dei Maselli guardato con sospetto dai collettivi per la sua vicinanza al Pci.

Viste oggi, quelle sequenze restituiscono alcuni momenti cruciali di un periodo di intensa vita politica tra picchetti di fabbrica, proteste femministe per la depenalizzazione dell’aborto, occupazioni e azioni per la rivendicazione del diritto alla casa. Si trattava però anche di una temperie violenta, fatta di rigurgiti fascisti e di minacce intonate nei cortei («Compagno Varalli, te lo giuriamo, ogni fascista preso, lo massacriamo»), allorché di scontro politico si moriva veramente da una parte e dall’altra. No alla tregua (1973), per esempio, evoca l’uccisione dell’agente Annarumma durante uno sciopero generale per la casa nel novembre 1969, la bomba in piazza Fontana e la morte di Pinelli, l’omicidio di Saverio Saltarelli alla manifestazione del 12 dicembre ’70, la morte e i funerali di Giangiacomo Feltrinelli.

Un nucleo di materiali, poi, documenta l’uccisione di Giannino Zibecchi, investito da un mezzo dei Carabinieri durante l’assalto alla sede MSI di via Mancini organizzato in seguito all’omicidio di Claudio Varalli da parte di un neo-fascista. Repertorio Zibecchi (1975), girato da Renato Ostuni, è un documento frontale di quegli scontri rievocati nelle conseguenze anche da Pagherete caro pagherete tutto (1975), uno dei film più rappresentativi dell’esperienza cinematografica militante italiana. Distribuito dopo solo un mese da quegli episodi, del film esiste anche una versione di 43 minuti con le immagini del funerale di Zibecchi e della sfilata dei «proletari in divisa» che coi volti mascherati il 25 aprile 1975 sfilarono per l’anniversario della Liberazione e per la messa fuori legge dell’Msi.

Sulla piattaforma è disponibile, inoltre, Maggioranza silenziosa (1972), filmato della manifestazione del marzo 1972 nota con quel nome, e della contemporanea risposta antifascista, con una sequenza di comizio in cui interviene un giovane Ignazio La Russa. Tra camionette in fiamme, barricate e volti cancellati dal negativo per evitarne l’identificazione, alcune immagini di questa Milano a ferro e a fuoco vennero utilizzate per i titoli di testa di Sbatti il mostro in prima pagina di Marco Bellocchio.

Nell’estate 2021, la Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro aveva dedicato un focus questo cinema e nel catalogo, disponibile online, Ranuccio Sodi ha scritto: «l’esperienza del cinema militante finisce verso il 1977: eravamo personalmente conosciuti e accettati dai vari servizi d’ordine, che si fidavano politicamente di noi e ci lasciavano campo libero in tutte le situazioni; anzi, spesso ci avvertivano in anticipo di fatti che sarebbero successi, come occupazioni di case o manifestazioni improvvise, per permetterci di documentarle dall’inizio. Ma l’escalation violenta della seconda metà degli anni ’70 ci mise in condizioni rischiose; erano comparse le armi da fuoco, che vennero ripetutamente usate in manifestazioni di piazza nel 1977, con drammatiche conseguenze . Inoltre, c’era il forte rischio – e non ritenevamo valesse la pena di correrlo – che le nostre riprese potessero venire sequestrate e utilizzate come prove. In quel tipo di ‘movimento insurrezionalista’, passato ‘dalle armi della critica alla critica delle armi’ non ci riconoscevamo proprio, e quindi preferimmo chiudere la nostra attività sul campo: anche se siamo rimasti legati tra noi da una profonda amicizia e abbiamo poi quasi tutti svolto attività professionali legate all’audiovisivo».