Quando a cavallo del millennio Ryaniar rivoluzionò il mercato aereo, sfruttando la deregolamentazione europea del 1997 con biglietti quasi gratuiti per raggiungere tutto il continente, la compagnia irlandese che inventò il modello low cost divenne la paladina dei liberisti: il simbolo della concorrenza e del libero mercato.

In realtà negli anni seguenti è diventato evidente come il modello low cost fosse basato essenzialmente sull’accoppiata sfruttamento del lavoro e assistenzialismo.

A 25 anni di distanza ieri lo storico ceo Micheal O’Leary ha dichiarato la fine dei «biglietti a 10 euro», stimando in 40 euro la media dei biglietti venduti quest’anno e annunciando un aumento a 50 euro per i prossimi «molti» anni. Il che, come stanno vivendo sulla loro pelle milioni di vacanzieri, vista la struttura tariffaria low cost con infiniti supplementi, sta aumentando rapidamente il costo totale di un viaggio di andata e ritorno fino a diverse centinaia di euro o sterline.

In una lunga intervista a Bcc Radio 4 ieri O’Leary ha confermato la svolta e le difficoltà del suo modello. Illuminante una sua risposta: «Noi saremmo felici di pagare di più i nostri dipendenti ma così i consumatori pagheranno di più per i nostri servizi». Dunque, nonostante O’Leary non lo ammetta, l’aumento dei biglietti è dovuto alla previsione di essere costretto a un costo del lavoro fatalmente più alto.

Non a caso O’Leary si è infatti scagliato, oltre all’inflazione, al caro energia, alla guerra in Ucraina, soprattutto contro la Brexit – dando dell’«idiota» a Boris Johnson e ai suoi – ma con motivazioni molto prosaiche e interessate: si riferiva alle conseguenze sul «mercato del lavoro» che «con le regole sulla circolazione delle persone rende impossibile far assumere la manodopera caraibica», naturalmente a basso costo.

In 30 minuti di intervista naturalmente né il giornalista né O’Leary si sono ben visti dal pronunciare la parola «sciopero». Ma è evidente che lo scricchiolio del sistema è coinciso con le mobilitazioni europee di assistenti di volo (soprattutto) e piloti, costretti a condizioni di lavoro al limite della decenza: acqua e cibo non forniti e da pagare, 20 voli in 4 giorni, niente congedi e permessi nel periodo estivo.

Lo sciopero contemporaneo in cinque nazioni – Spagna, Italia, Francia, Portogallo e Belgio – del 25 giugno ha portato alla cancellazione di quasi mille voli costringendo Ryanair a prepararsi a fare concessioni ai lavoratori e ai sindacati, fino a pochi anni fa totalmente non riconosciuti dal gigante irlandese.

In parallelo i tribunali di molti paesi – fra cui l’Italia – hanno colpito il sistema di sfruttamento del lavoro: Ryanair e le altre low cost devono rispettare la legislazione sul lavoro europea e non possono più sfruttare la deregulation irlandese o ungherese, nel caso della rampante Wizzair.

Per quanto riguarda l’Italia permane ancora la seconda gamba: l’assistenzialismo che i liberisti fanno finta di ignorare. Le società aeroportuali, specie le più piccole e nuove, hanno steso a Ryanair tappeti rossi concedendo veri monopoli addirittura sovvenzionando i voli e coprendone i costi. Resta ancora un mistero ad esempio il perché Ryanair nella stagione estiva abbia il (quasi) monopolio su alcune fra le mete più ambite dei vacanzieri: Trapani, Brindisi, senza dimenticare le isole greche e spagnole.

L’altra grande novità di questa estate riguarda la consapevolezza da parte dei consumatori della nocività del modello low cost. L’aumento dei biglietti ha portato molti viaggiatori ad aprire gli occhi sulla situazione: risparmiare oramai poche decine di euro per un volo dove si affronterà la roulette delle regole sui bagagli e i posti assegnati, constatando visualmente la stanchezza degli assistenti di volo e dei piloti (le loro facce, le loro voci), non vale più la candela. Così si spiegano le solidarietà e le pochissime proteste per i disagi subiti questa estate durante gli scioperi.