Per giorni in Messico e Stati Uniti d’America non si è fatto che parlare della possibilità che tra Honduras, El Salvador e Guatemala si formasse un’enorme carovana di centroamericani/e pronti ad attraversare stati e pericoli per cercare di entrare nella terra governata da Donald Trump.

Su Twitter girava anche una locandina che dava come appuntamento le 5 del mattino di sabato 30 marzo, alla Centrale Metropolitana di San Pedro Sula. Le voci la definivano come «carovana madre» e si parlava di 20mila persone. Quella carovana madre non è mai partita. Al sud del Messico, però, al confine con il Guatemala il controllo della frontiera si fa sempre più serrato. Con molta insistenza, negli ambienti solidali messicani, si sostiene che sia tutta una trovata congiunta dei due governi. E che le dichiarazioni allarmate della Segreteria di Governo di Obrador, Olga Sánchez Cordero, servano ad accontentare Washington e a giustificare il governo messicano nell’inasprimento dei controlli, e rendere più difficile l’arrivo al confine, dove ad insistere sul muro, che già esiste e separa i due paesi, ci sono migliaia e migliaia di persone, abbandonate a se stesse, senza aiuti da nessuno dei due governi.

Poche ore prima della dichiarazione del governo messicano Trump aveva twittato, accusando il vicino di non far nulla per fermare i flussi migratori. Evidentemente una falsità: il governo Obrador ha stanziato 30 miliardi di dollari per “finanziare” Honduras, Guatemala e El Salvador, chiedendo a Usa e Canada di fare lo stesso.

La misura però non è sufficiente perché la crisi centro-americana non è solo economica, ma è politica e sociale: Juan Orlando Hernandez, attuale presidente dell’Honduras, è stato eletto con conclamati brogli, e la violenza è diventata forma di governo del territorio. Non diversamente dagli altri due paesi. Mentre il Messico smentisce la militarizzazione, Trump minaccia la chiusura totale della frontiera.

La  forse non è mai esistita ma è certo che giornalmente a centinaia partono per il nord, da soli o in gruppo. Oggi ci sono due carovane in Messico, in tutto 3000 persone tra cubani e centroamericani. Sono ancora in Chiapas. Ieri il governo ha iniziato le operazioni di identificazione e contatto per convincere i carovanisti a fermarsi lì.