In Tunisia è tutto apparecchiato per le elezioni legislative che promettono di consegnare definitivamente il paese nelle mani del presidente della Repubblica Kais Saied. Sulla tavola manca un solo ingrediente: l’affluenza ai seggi, il sale di ogni regime che si vuole definire democratico.
La disillusione. È questo il sentimento che ha traghettato la popolazione dal colpo di forza del responsabile di Cartagine il 25 luglio 2021 e che (non) si riverserà nelle urne nella giornata di oggi. Chiamati a rinnovare un parlamento privo di ogni potere tangibile, è in quel luogo fisico che si è depositato il malcontento diffuso dei tunisini verso un’istituzione che dopo la Rivoluzione della dignità e della libertà del 2011 non ha saputo dare risposte chiare a una questione basilare: maggiori diritti economici e sociali.

IL VOTO CADE in un giorno particolare per la Tunisia, è infatti l’anniversario dell’immolazione di Mohamed Bouazizi, un grido di disperazione nel 2010 che portò in seguito alle proteste di piazza e alla cacciata del despota Zine el-Abidine Ben Ali. Una data non casuale, come la gran parte dei giorni scelti da Saied per modificare l’impianto istituzionale della Tunisia. Ad esempio il 25 luglio 2022, festa della Repubblica e momento in cui il Paese si è espresso sulla nuova costituzione.

Il voto di oggi si deve leggere in due modi: il primo per cosa i tunisini sono chiamati alle urne; il secondo come si è arrivati a una consultazione senza particolari entusiasmi. La popolazione deve eleggere la nuova Assemblea dei rappresentanti dei popoli (Arp) con modalità completamente differenti rispetto all’ultima volta, il 2019: la legge elettorale prevede uno scrutinio uninominale su due turni; i candidati non hanno potuto appoggiarsi a partiti politici e le prerogative della nuova camera saranno totalmente diverse, con pochi poteri rispetto al presidente della Repubblica, il quale potrà proporre leggi all’Assemblea che dovranno essere esaminate «con priorità assoluta». Da qui si può intuire il grado di disaffezione verso un’istituzione a cui non crede più nessuno, compresi i partiti (la maggior parte ha deciso di boicottare queste legislative) e la società civile, in attesa di capire cosa le riserverà il futuro. Sempre rispetto al 2019, c’è una grande differenza anche a livello visivo. Se tre anni fa le strade di Tunisi erano piene di comizi elettorali, compresa la lunga avenue Bourguiba con dei palchi sistemati per ospitare i discorsi dei candidati, quella di quest’anno è una campagna che si è fatta nei café del paese, quasi in silenzio. L’altra differenza la fanno notare i numeri: nel 2019 sono stati 15mila i candidati per 217 seggi, quest’anno sono poco più di mille per 161.

PER RISPONDERE invece alla domanda su come ci si è arrivati, il nodo da sciogliere è semplice: sulla scia di una lunga crisi economica e sociale, il 25 luglio 2021 Saied ha congelato il parlamento, sciolto il governo e assunto su di sé ogni forma di potere. Da allora ha governato di fatto da solo nonostante la nomina a premier di Najla Bouden Romdhane e ha svuotato ogni istituzione prevista dalla costituzione del 2014, promulgando un altro testo nel luglio 2022 che di fatto ha preparato il terreno per un regime ultra presidenziale a due Camere (sulle modalità di voto dell’Assemblea delle regioni e dei distretti incombe un’imponente nuvola di incognite).
Tuttavia, come ogni fatto di cronaca che riguarda la Tunisia, bisogna considerare la crisi economica che attanaglia il paese almeno dal 2008. Un dossier a cui Kais Saied deve rispondere in fretta se non vuole vedere vacillare già nelle prossime settimane il suo nuovo regime.