Con una cerimonia di premiazione ristretta, tenutasi, con un giorno di anticipo rispetto al solito, venerdì mattina, in una delle sale cinematografiche (mentre gli annunci dei vari vincitori venivano riportati progressivamente via social media), il Sundance ha chiuso la sua prima edizione in presenza da tre anni a questa parte. Ad eccezione dei filmmakers, i rappresentanti dell’industria rimasti fino alla fine del festival erano pochi, lo stesso vale per i giornalisti. Molti erano partiti a inizio settimana.
Ma, nonostante l’esodo massiccio e i posti vuoti in sala in alcune proiezioni, il fatto stesso che il festival si fosse svolto in un atmosfera di relativa normalità (dopo la devastante cancellazione dell’anno scorso, a meno di un mese dall’inizio della manifestazione) è stato occasione di sollievo generale e di cauto ottimismo. Considerata una delle migliori degli ultimi anni, la selezione dei film era sufficientemente varia da poter includere, insieme a qualche «scoperta», anche titoli che sono stati capaci di attirare l’attenzione dei distributori.

COME ORMAI da qualche tempo, sono state le piattaforme a fare la parte del leone in fatto di cifre. Apple TV + ha infatti acquistato Flora & Son, del regista/musicista irlandese John Carney (Once e Sing Street), commedia musicale in cui una ruvida madre dublinese (Eve Hewson) ricostruisce il rapporto con il figlio «difficile» grazie a una chitarra e a lezioni di musica online fornite da un simpatico californiano (Joseph Gordon Lewitt). Indie di vena Sundance classica, molto scritto, ben recitato e intriso di buoni sentimenti, Flora & Son è un oggetto molto in linea con Coda, che Apple aveva comprato al festival virtuale di due anni fa e con cui ha vinto un Oscar. Per la stessa cifra, Netflix si è assicurato il più cattivo Fair Play, versione millennial del thriller erotico anni novanta alla Adrian Lyne e, probabilmente per molto meno, l’horror psicologico Run Rabbitt Run (sezione mezzanotte); mentre la Searchlight, con otto milioni di

«Little Richard: I Am Everything» di Lisa Cortes

dollari, ha portato a casa Theater Camp, un mockumentary in concorso su un campeggio estivo per ragazzini amanti del teatro, con l’attore/cantautore Ben Platt (Dear Evan Hanson) e Sony Classics – che aveva già distribuito il suo film precedente, il successo di Sundance 2005 Junebug – ha comprato l’agrodolce quadretto famigliare sudista di Angus MacLachlan A Little Prayer, un film elegante, di dettagli e umorismo sottile, che confluisce in un finale molto bello, tra una giovane sposa e il suocero.

Al distributore newyorkese Magnolia, in genere abile con il documentario, sono andati invece il vincitore della sezione Next Kokomo City, dell’attrice/ produttrice/cantante transgender D. Smith e Little Richard: I Am Everything di Lisa Cortes, un ricco ritratto dell’architetto del rock n roll che si vede come una controstoria dell’Elvis di Baz Luhrmann. Presente al festival con almeno una mezza dozzina di film sparsi qua e là nel programma, la A24 ha comprato i diritti del curioso horror australiano Talk to Me, in cui un gruppo di amici praticano una sorta di roulette russa a base di sedute spiritiche.«A Thousand And One», ritratto di una madre uscita di prigione, è il miglior film di fictionAveva invece già un distributore, la Focus Film, il film vincitore del concorso fiction, A Thousand And One, dell’esordiente afroamericana A.V. Rockwell, ritratto di una madre, uscita di prigione, sullo sfondo della Harlem anni Novanta, che ha i colori di un film di Spike Lee e un bel personaggio centrale, purtroppo appiattiti da una mise en scene accademica e da una scrittura troppo presente.

QUESTO bisogno che, alla fine, tutti i conti tornino, già a partire dalla pagina, è uno dei tratti distintivi che affligge parecchi dei film visti quest’anno (ed è in genere un tratto distintivo dell’estetica di questo festival). In linea di massima, i premi hanno riflettuto quegli stessi valori – con uno spiccato accento sul contenutismo, le tematiche sociali e sulla digeribilità della «storia», a scapito di oggetti meno chiaramente classificabili e spesso più interessanti.