Ieri la Corte penale del Cairo ha condannato a morte 75 persone, ritenute colpevoli di proteste contro il golpe dell’allora generale al-Sisi nei giorni e le settimane successive al 3 luglio 2013.

Tra i condannati ci sono figure di spicco dei Fratelli Musulmani, coinvolti nelle manifestazioni a piazza Rabaa, dove nell’agosto di cinque anni fa il neonato regime massacrò circa mille dimostranti.

Ora la sentenza di pena capitale sarà trasferita al gran muftì, la più alta autorità legale islamica, che dovrà dare il suo parere in merito. Il parere non è vincolante ma generalmente è ascoltato dalla magistratura (è stato il muftì a salvare Mohamed Badie, leader della Fratellanza Musulmana egiziana e suo ideologo, più volte condannato a morte dal 2013 a oggi).

Il verdetto finale sulle sentenze emesse ieri è atteso per il prossimo 8 settembre. Non c’è Shawkan: per il fotoreporter anche lui imputato nelle stesso processo di massa l’udienza è di nuovo rinviata al 9 settembre.

Sentenze emesse nell’ennesimo processo di massa, ormai la normalità nel sistema giudiziario egiziano, strumento utilizzato per i casi aperti contro gli oppositori (molto spesso infilandoci dentro soggetti politicamente lontani, da giornalisti ad attivisti di sinistra fino agli islamisti).

Di per sé simili processi violano il diritto internazionale e quelli dei singoli imputati che, come raccontano gli egiziani che ci sono passati, sono privati di una difesa efficace ed effettiva: gli imputati non vedono i propri legali (e se ne hanno occasione sono tenuti d’occhio da poliziotti o funzionari del carcere), seguono le udienze in gabbie di vetro, non hanno accesso ai file sul proprio caso.

E poi c’è la pena di morte. Se tra il 2007 e il 2013 (dagli ultimi anni dell’era Mubarak al golpe di al-Sisi) sono state condannate a morte 12 persone, dal 2014 il numero è schizzato alle stelle: secondo Reprieve, tra il gennaio 2014 e il febbraio 2018 sono state comminate 2.159 condanne a morte, di cui 83 già eseguite. Più alti i numeri di Amnesty International: dal gennaio 2014 al 25 luglio 2018 sono stati giustiziati almeno 128 prigionieri.