Era dal 2016 che non si teneva più una riunione del «Formato Normandia», il gruppo di contatto formato da Ucraina, Russia, Germania e Francia per l’implementazione degli accordi di pace per il Donbass sottoscritti a Minsk. L’incontro è durato oltre 2 ore e mezza ma la dichiarazione comune promessa dai partecipanti mentre scriviamo non è stata ancora stilata. Malgrado ciò dalle indiscrezione degli staff dei governi presenti, non sarebbero emerse grandi novità. Probabilmente verrà fissata la data di un’ulteriore scambio di prigionieri tra le fazioni in lotta e verrà definita un calendario di incontri nei prossimi mesi. Tutto qui, ma per ora Mosca e Kiev sembrano accontentarsi di tornare a parlarsi.

Domani il ministro degli esteri russo Sergey Lavrov volerà a Washington e avrà occasione di parlare di Ucraina con Mike Pompeo, il convitato di pietra della riunione odierna. Che il meeting di ieri non avrebbe portato in grembo novità eclatanti era già chiaro da qualche settimana. In una intervista concessa a dei giornali europei il 2 dicembre (Der Spiegel, Le Monde, Time e Gazeta Wyborcza) Zelensky aveva affermato che le elezioni locali nelle regioni di Donetsk e Lugansk potranno svolgersi solo secondo la legge ucraina. Inoltre il presidente ucraino ha sostenuto che Kiev dovrà stabilire il controllo del confine con la Russia meridionale prima delle elezioni.

Si tratterebbe di un vero e proprio de profundis per gli accordi di Minsk che prevedevano elezioni con i governi in carica, ovvero quelli dei «ribelli». Zelensky è convinto che questo problema sarà «il più difficile di tutti»: «Dico loro onestamente: non sono d’accordo su come questo problema è stato risolto a Minsk». Mission impossible almeno per ora quindi convincere Putin, il quale può far valere, nei confronti di Macron e Merkel, coerenza e linearità. Era il punto si cui si era arenato anche Poroshenko visto che è attualmente impensabile una campagna elettorale nelle zone controllate dai ribelli in cui possano partecipare i partiti di Kiev. Arrivando il ministro degli esteri russo Lavrov aveva dichiarato un «moderato ottimismo» ma il tutto è sembrato a uso e consumo delle telecamere appostate fuori dall’Eliseo: Putin e Zelensky nell’incontro a quattr’occhi a margine dell’incontro hanno parlato soprattutto di come risolvere la contesa del transito di gas russo sul territorio ucraino. La scorsa settimana sul capitolo petrolifero le parti sono infine giunte a un accordo. E forse nel giro di qualche tempo si potrò giungere alla ripresa dei voli di linea tra le 2 capitali. Uscendo dall’incontro Putin si è lasciato andare a un «tutto bene, sono contento», troppo vago per significar qualcosa.

Sulle trattative incombe il calo di popolarità del presidente ucraino, un fattore da lui sempre considerato importantissimo. Ma non sono tanto le manifestazioni contro la «capitolazione a Putin» inscenate anche domenica sera a Kiev dall’ultradestra a preoccuparlo, quanto l’opposizione popolare alle sue scelte di politica economica. Dopo aver ridato la possibilità agli stranieri di acquistare le fertili «terre nere», Zelensky vorrebbe imporre una drastica riduzione del personale nel pubblico impiego e un netto aumento delle tariffe del riscaldamento e dei servizi sociali. Nle 2018 il tentativo del moribondo governo Poroshenko di aumentare i prezzi del riscaldamento aveva dato adito a grandi manifestazioni che in alcune città, come Dnepr e Kremenciuk, si era trasformate in aperta rivolta contro la costruzione di barricate e scontri con la polizia.