Con oltre 200 milioni di membri sparsi in 65mila città e 191 paesi, Airbnb, la piattaforma che intermedia domanda e offerta di alloggi per turisti, oggi vale 31 miliardi di dollari. «Grazie a una community di utenti sempre in crescita, Airbnb è il modo più facile di trarre profitto dal tuo spazio in più». Ne sa qualcosa la piattaforma, che nel 2016 ha chiuso il bilancio con un utile netto di 100 milioni di dollari, grazie alle commissioni su ogni transazione effettuata dai suoi «membri», che variano dal 3 al 5% per gli host e dal 13 al 15% per gli ospiti, fino al 20% per le «esperienze» turistiche –attività in vendita tramite sito, la nuova frontiera della mercificazione della nuda vita targata Airbnb.

PER PROSPERARE Airbnb ha bisogno di utenti e di città. Se il modello informale di ricettività turistica privata millanta una redistribuzione della ricchezza generata dal turismo, i dati –quelli degli utenti, che la piattaforma si guarda bene dal pubblicare – raccontano una storia diversa. Airbnb è uno strumento di accumulazione della ricchezza derivata dalla proprietà immobiliare, che in Italia ben sostituisce il reddito da lavoro, ma a cui non tutti accedono. I pochi benefici economici immediati, in un contesto economico estremamente individualizzato, nascondono ricadute sociali a lungo termine molto pesanti.

L’ELEVATO NUMERO di affitti brevi turistici, alla lunga più remunerativi di quelli residenziali, incide sui valori immobiliari contribuendo alla desertificazione sociale dai centri urbani, che si somigliano tutti, privati della loro varietà e complessità, trasformati in parco-giochi per turisti. In definitiva Airbnb contribuisce a cancellare le relazioni sociali su cui, parassitando, cresce.

L’ITALIA È al terzo posto per numero di annunci. Uno studio condotto dall’Università di Siena su 13 città italiane nell’arco di due anni fa luce sulla situazione. In generale la stragrande maggioranza di annunci è per interi appartamenti, contro stanze e stanze condivise. Questo trend è in aumento in tutte le città esaminate, ed è particolarmente accentuato nei centri storici. La percentuale di case affittate a breve termine sul totale nei centri storici è in aumento: a Firenze è il 18%, a Matera il 25%, a Roma l’8%. Secondo i ricercatori l’alta concentrazione di alloggi per turisti nei centri storici è un fenomeno tipicamente italiano.

LA DISTRIBUZIONE del reddito da Airbnb è caratterizzata da una profonda diseguaglianza spaziale, economica, e generazionale. In molte delle città esaminate gli host con più di un alloggio in affitto -quindi non giovani della classe media, guadagnano più di due terzi del reddito complessivo generato da Airbnb, con un tasso di utilizzo di alloggi che premia le zone centrali. Secondo una ricerca di Filippo Celata a Roma «la concentrazione spaziale della ricchezza generata dalla piattaforma e ben superiore a quello relativo alla mera distribuzione degli alloggi. Se 4 delle 155 zone urbanistiche di Roma ospitano il 35% degli alloggi, queste quattro zone percepiscono il 58% dei redditi». A Roma l’1% degli host più ricchi, ovvero con più alloggi in affitto, gestisce il 24% del totale dei redditi generati da Airbnb. Il 10% degli host gestisce il 68%: «Il fenomeno rischia di acuire la disuguaglianza di reddito a favore di coloro che hanno proprietà immobiliari più numerose e di maggior pregio, e più centrali». Se poi questi host siano agenzie resta un dato da chiarire.

I PREZZI DEGLI ALLOGGI diminuiscono al crescere della distanza dal centro urbano che intercetta la maggior parte dei guadagni realizzati. Sarebbe interessante indagare il trend dei prezzi in relazione all’aumento del numero di annunci in molte città negli ultimi anni. A Roma c’è stato un vero e proprio crollo dei prezzi degli alloggi, legato a un’inflazione dell’offerta, che ha investito anche il settore ricettivo tradizionale. Il ruolo delle piattaforme digitali del turismo è tutt’altro che neutrale, a cominciare da Airbnb, che consiglia pressantemente il prezzo da applicare. L’obiettivo primario delle piattaforme di prenotazione online è infatti fare propri i clienti delle strutture ricettive. In uno scenario in cui l’offerta supera la domanda, le piattaforme impongono alle strutture programmi di sconti e offerte in cambio di visibilità, creando una competizione al ribasso tra strutture, molte delle quali non riescono più a generare un utile. Questo sta determinando, almeno a Roma, una polarizzazione dell’offerta ricettivo tra alberghi di lusso e il modello Airbnb, con la scomparsa delle strutture di fascia intermedia.

CHI CI GUADAGNA è sempre la piattaforma. Molti host di Airbnb se ne sono accorti. «In questi giorni – scrive M. C. nel forum online di Airbnb – alcuni di noi hanno ricevuto un invito ad abbassare i prezzi di per sé ridotti al minimo. Spero che pochi di voi accettino l’invito perché significherebbe lavorare per Airbnb magari perdendoci pure (spese fisse, tasse, tempo). Non vi parlo dei 394 milioni di euro dell’anno scorso fatturato nel nostro paese da Airbnb, ma del ruolo di formichine che vogliono darci. Cosa succederebbe – conclude M. C. – se tutti ci alterassimo con la società a cui portiamo solo soldi, e uscissimo dalla piattaforma, stufi di essere presi in giro con questa politica dei prezzi?». Di fronte all’evidenza molte città hanno introdotto limiti per regolare l’attività e l’impatto di Airbnb, non senza battaglie legali con la multinazionale. In Italia l’intervento legislativo si è limitato, al solito, ad introdurre una tassa del 21% sugli affitti brevi affidando alla piattaforma il ruolo di sostituto d’imposta, mentre il Ministero della Cultura e del Turismo ha pensato bene di affidare la rinascita dei borghi alla multinazionale americana del turismo.

NEL VUOTO NORMATIVO che la circonda Airbnb vuole fare le regole. La piattaforma ha un «Team di Politiche Pubbliche» e si definisce «pioniera in materia di relazioni politiche, legali e governative». Airbnb gli stessi host per fare attività di lobbying, promuovendo dei meet-up di membri che, secondo Chris Lehane di Airbnb, sono «una voce contro i potenti». La retorica comunitaria «dal basso» insomma fa il paio con quella dell’innovazione, che accusa l’arretratezza burocratica e legislativa di minare le infinite possibilità auto-imprenditoriali che la sharing economy offre. Ma il modello Airbnb dirotta l’attenzione dal problema. La fine del reddito da lavoro, del welfare, dei diritti, la diffusione del disagio abitativo, vanno affrontati sul piano delle politiche pubbliche. Senza, Airbnb è solo una soluzione tampone che ritarda di poco il momento in cui toccheremo il fondo.