Troppo grosso per fallire. Valeva per il Monte dei Paschi, nazionalizzato all’epoca dal governo Gentiloni per evitare effetti tellurici sul piano finanziario ed economico, vale oggi per l’ex Ilva sul fronte sociale e politico. Alla vigilia dell’incontro decisivo di domani fra il governo e i vertici dell’Acciaierie d’Italia, al quale dovrebbe partecipare anche Aditya Mittal, figlio di Lakshmi e ceo di Arcelor Mittal, azionista di maggioranza della più grande impresa siderurgica del paese, si moltiplicano le voci di chi chiede un intervento dell’esecutivo di Giorgia Meloni per superare una situazione da tempo insostenibile. Un intervento legato al fatto che già oggi il governo, attraverso Invitalia, è proprietario del 38% del gruppo industriale.
Proprio Invitalia ha calcolato che, se si vuole salvare e rilanciare l’ex Ilva, bisogna mettere in campo risorse pari a un miliardo e 320 milioni di euro. Un investimento da dividere in quota parte secondo i rapporti societari e che costerebbe a Mittal, titolare del 62% delle Acciaierie, più di 800 milioni. La multinazionale invece si ferma per ora a 320 milioni, e guarda soprattutto alla scadenza di maggio, quando in teoria dovrebbe acquistare gli impianti siderurgici gestiti fino ad oggi in affitto.
Per cercare di superare l’impasse, nei giorni scorsi si sono incontrati l’amministratore delegato di Invitalia, Bernardo Mattarella, e Ondra Otradovec, il manager di Arcelor Mittal che all’epoca fu protagonista dei preparativi alla gara per rilevare in gestione l’ex Ilva dall’amministrazione straordinaria. Mattarella e Otradovec hanno di fatto preparato la strada al vertice di domani, analizzando le possibili soluzioni, la parte finanziaria e le modalità di costruzione di una possibile intesa.
L’unica certezza è che il tempo ormai è scaduto. “Non possono più rinviare – osserva Loris Scarpa, coordinatore nazionale siderurgia della Fiom Cgil – siamo già fuori tempo massimo. Vedremo gli eventuali sviluppi dell’incontro, dopo di che valuteremo con i lavoratori e, se non ci saranno risposte, siamo pronti a mettere in campo tutte le iniziative possibili”.
“Per noi – aggiunge Scarpa – l’unica strada percorribile è un aumento serio di capitale socio-pubblico, un cambio di governance e un nuovo management. Perché così non si può andare avanti. Qualsiasi ulteriore ritardo va a discapito della questione ambientale, dei lavoratori e anche dell’industria italiana. Sono a rischio la salute nonché la sicurezza dell’ambiente e dell’industria siderurgica del paese”.
Sulla stessa linea la Uilm e la Fim Cisl, il cui segretario generale Roberto Benaglia, in una recente intervista, ha tratteggiato il possibile scenario futuro: “L’ex Ilva è un caso di scuola di cosa vuol dire l’assenza di politica industriale in questo paese, ora il governo deve fare la scelta giusta. Costa di più chiuderla che tenerla aperta, per questo la premier Meloni ha una doppia responsabilità: preservare il più grande soggetto industriale d’Italia, e l’investimento e le quote pubbliche del gruppo. L’unica strada è il ritorno in maggioranza, in attesa di trovare nuovi partner”.
Fra i partiti di governo, al momento solo Forza Italia con il responsabile dei dipartimenti Alessandro Cattaneo ha fatto il punto della situazione: “Se vogliamo fare una seria politica industriale e tutelare la sopravvivenza dell’azienda, non possiamo escludere un intervento dello Stato”. Una extrema ratio, la definisce Cattaneo, che però sa bene come all’ex Ilva, per volontà sia di Mittal che della tristemente nota ad Lucia Morselli, non si saldano nemmeno le bollette delle forniture del gas a Snam, che è obbligata ad alimentare lo stabilimento a forza di provvedimenti del Tar, con l’ultima proroga che scadrà il 10 gennaio.
Con una produzione ridotta al lumicino nonostante le roboanti promesse di Morselli, una crisi che coinvolge tutti gli stabilimenti del gruppo, da Conegliano a Novi Ligure, il continuo ricorso alla cassa integrazione che l’azienda la fa partire senza preavviso e senza consultazioni con i sindacati, e una tensione sociale che continua a salire in modo esponenziale, le Acciaierie sono all’ultimo bivio. Al pari, in questo caso, del governo Meloni.