Per la prima volta dal ritorno al potere dei Talebani, ieri il leader dell’Emirato islamico e “guida dei fedeli”, Haibatullah Akhundzada, è apparso in pubblico a Kabul. Un pubblico ampio, ma selezionato: Haibatullah ha infatti tenuto un discorso di circa un’ora in un grande edificio del Politecnico di Kabul, ai piedi dell’Hotel Intercontinental, nel secondo giorno della Loya Jirga, una grande assemblea che, secondo i Talebani, dovrebbe servire a fare un primo bilancio di questi dieci mesi e mezzo di governo.

A PARTECIPARE, circa tremila delegati, perlopiù Talebani, simpatizzanti talebani o leader tribali. Tutti e solo uomini. Le donne non sono ammesse. Di loro non c’è bisogno: «Le rappresentiamo noi», ha detto alla vigilia della conferenza il vice primo ministro dell’Emirato, Abdul Salam Hanafi: «Quando i loro figli partecipano all’incontro, significa che anche loro sono coinvolte». I tremila uomini ieri hanno celebrato l’apparizione dell’Amir ul-mumineen, la guida dei fedeli Haibatullah con canti di giubilo e invocazioni di «lunga vita all’Emirato». Haibatullah non è uomo da apparizioni: vive quasi recluso a Kandahar e sono pochi coloro che riescono a raggiungerlo. Di lui, esiste solo una vecchia foto. E anche il suo discorso di ieri è stato trasmesso in diretta, ma solo radiofonica.

HAIBATULLAH ha ricordato i sacrifici compiuti per ristabilire un vero sistema islamico, ha sostenuto che la guerra è stata alimentata dalla sharia e dalla fede, che i Talebani non intendevano uccidere gli afghani ma è stato un dovere farlo «quando sono diventati scudi degli invasori». Ha invocato la necessità di porre fine a ogni forma di corruzione, discriminazione etnica, tirannia. E ha rivendicato il plauso che il ritorno al potere dei Talebani avrebbe ottenuto nell’ummah, la comunità islamica globale.

IL GIORNO PRIMA, però, era stato lo stesso mullah Yaqub, ministro della Difesa e figlio del fondatore dei Talebani mullah Omar, a sottolineare che l’Emirato soffre un grave problema: non ha riconoscimento, non ha legittimità politica agli occhi del mondo. Per poi chiedere consigli agli ulema lì presenti, sul come ovviare. Anche per il leader supremo Haibatullah i religiosi, così come i cittadini, devono suggerire, far notare gli sbagli. Ma i media devono evitare di parlarne. Sarebbe controproducente. D’altronde, ha sottolineato il coordinatore della Loya Jirga, Habibullah Haqqani, nel discorso introduttivo di giovedì, «l’obbedienza è il più importante principio del sistema, dobbiamo obbedire ai nostri leader, sinceramente e completamente».

OBBEDIENZA e resistenza, conferma Haibatullah Akhundzada. Resistenza di fronte all’ostilità del mondo. «Non ci saranno compromessi sulle leggi prescritte dalla sharia. Il mondo non dovrebbe interferire in Afghanistan, un Paese sovrano e indipendente. Non accetteremo interferenze». Un tasto, quello dell’interferenza della comunità internazionale, su cui è tornato più volte l’emiro, che rivendica sovranità e che continua a leggere il presente del Paese, anche ora che il conflitto è finito, in chiave di minaccia esistenziale: «La guerra americana contro di noi non era per la terra o per l’aria, ma per la nostra fede e per le nostre idee. Continuerà fino al giorno del giudizio». Inutile intromettersi: «Anche se useranno la bomba atomica, non faremo neanche un passo contrario a quel che chiede Allah e stabiliremo un vero sistema islamico». Che deve essere giusto, equo: «Un governo non sopravvive con l’oppressione».

MA DI REPRESSIONE, oppressione e ingiustizia da parte dei Talebani hanno parlato proprio ieri molti relatori e relatrici, nel corso di una sessione urgente del Consiglio dell’Onu per i diritti umani sulla situazione delle donne e delle ragazze afghane. Michelle Bachelet, Alta Commissaria Onu per i diritti umani, ha sollecitato i Talebani a porre fine all’«oppressione sistematica» verso le donne, prendendo esempio da altri Paesi islamici. Mentre lo Special Rapporteur dell’Onu per l’Afghanistan, Richard Bennett, ha sostenuto che la repressione dei Talebani verso le donne non ha paralleli al mondo, nella sua misoginia.