Meno violenza militare, più violenza selettiva e forte repressione del dissenso. Nelle 58 pagine del rapporto sull’Afghanistan reso pubblico ieri da Unama, la missione dell’Onu a Kabul, emerge una prima panoramica sullo stato dei diritti nel Paese. Il periodo in esame va dal 15 agosto 2021, giorno in cui i Talebani sono entrati a Kabul in seguito alla fuga del presidente Ashraf Ghani, al 15 giugno di quest’anno: 10 mesi di governo e di violazioni dei diritti umani. Rese possibili anche grazie al graduale, sistematico lavoro di repressione verso quanti – giornalisti, attivisti, esponenti della società civile – possono o potevano denunciare la progressiva perdita delle libertà fondamentali.

UNA REPRESSIONE più intensa dallo scorso agosto, ma già in corso tra la fine del 2020 e la prima metà del 2021, quando nel Paese si sono registrati numerosi attacchi e omicidi, non rivendicati, contro la società civile: i Talebani preparavano il terreno.
Da allora, Unama nota una significativa riduzione della violenza militare legata al conflitto. Tra l’agosto 2021 e il giugno 2022, ci sono state 2106 vittime civili: 700 morti e 1406 feriti, mentre negli ultimi anni i morti erano più di 3.000 ogni anno. La maggioranza delle vittime «va attribuita agli attacchi mirati della cosiddetta Provincia del Khorasan», la branca locale dello Stato islamico, «contro le minoranze etniche e religiose». A fronte di una generale riduzione della violenza militare, si afferma però una violenza più selettiva: da parte delle nuove autorità di fatto, i Talebani dell’Emirato, contro coloro che vengono percepiti come nemici o antagonisti. Tra i primi vanno inclusi alcuni ex membri delle forze di sicurezza o del governo, i membri del cosiddetto Fronte di resistenza nazionale e, appunto, quelli della Provincia del Khorasan. Tra i secondi, giornalisti (circa 170 gli arresti arbitrari), attivisti, individui accusati di “crimini morali”. Non è un caso che venga sottolineato il ruolo di due organi dell’Emirato, in particolare: il ministero di fatto per la Promozione della virtù e la prevenzione del vizio e l’Istikhbarat, il Dipartimento di intelligence. Dal primo dipendono molte direttive che limitano i diritti e le libertà delle donne, dal secondo le punizioni per chi non si attiene alle direttive, spesso presentate solo come raccomandazioni.

IN EVIDENZA, la distanza tra parole e fatti. Così, nonostante l’amnistia del 17 agosto 2021 per gli ex membri di sicurezza e governo, Unama registra 160 omicidi extragiudiziali, 178 arresti e detenzioni arbitrarie, 56 denunce di torture o trattamenti degradanti verso questa categoria. E poi 59 omicidi extragiudiziali, 22 arresti e detenzioni arbitrarie di individui accusati di far parte della “Provincia del Khorasan”, molti dei quali uccisi con metodi particolarmente crudeli. E ancora 18 omicidi, 54 denunce di torture o maltrattamenti di persone considerate parte del “Fronte di resistenza nazionale”, il fronte militare che comincia a impensierire i Talebani in alcune province settentrionali.

SECONDO UNAMA, il miglioramento delle statistiche generali sulla sicurezza non basta, perché «la popolazione afghana, in particolare donne e ragazze, sono private del pieno soddisfacimento dei loro diritti umani». Dal 15 agosto, «donne e ragazze hanno visto progressivamente ridotti, e in molti casi completamente eliminati, i loro diritti a partecipare in pieno all’educazione, ai luoghi di lavoro e ad altri aspetti della vita pubblica». Anche «l’accesso alla giustizia per le vittime di violenza di genere è stato limitato con la chiusura dei meccanismi di denuncia, giustizia e protezione».