«L’Emirato ha imparato a stare a galla, nonostante le divisioni interne». Per Antonio Giustozzi, tra i più autorevoli studiosi del movimento dei Talebani, autore di molti libri sul Paese e sul jihadismo tra cui Il laboratorio senza fine. Il ruolo dell’Afghanistan tra passato e futuro (Mondadori 2022), in questi due anni «i Talebani hanno dimostrato di saper gestire la macchina governativa meglio del previsto». L’Emirato non solo non è collassato come qualcuno immaginava, ma regge. Continuano però le dispute interne sulla distribuzione del potere. Che condizionano anche i rapporti con i Paesi della regione e con gli Stati uniti, che per il leader dell’Emirato, Haibatullah Akhundzada, rimangono il grande nemico.

In un saggio recente per l’Ispi lei sostiene che, nonostante sanzioni, isolamento e blocco dei fondi della Banca centrale, l’Emirato non sia messo così male, finanziariamente.

C’è poca trasparenza, ma dai dati disponibili direi che i Talebani non sono andati male, nella gestione finanziaria. Sono in grado di raccogliere circa 2,3 miliardi di dollari all’anno: un buon risultato confrontato con i tempi della Repubblica islamica, quando l’economia godeva di molti investimenti. Oggi non ci sono investimenti significativi, neanche degli attori regionali, a causa soprattutto degli scontri continui con Iran e Pakistan. I Talebani in ogni caso sono pro-business: se l’economia non cresce non aumentano neanche tasse e dazi, fondamentali per loro. Anche per questo, il rapporto con gli imprenditori è costruttivo. Ma senza riconoscimento ufficiale dell’Emirato è difficile aspettarsi grandi progetti. I Talebani poi si aspettavano che gli Usa fossero più flessibili sui soldi della Banca centrale congelati all’estero. Per ora, su quel fronte, poco o nulla.

La “guida dei fedeli”, Haibatullah Akhundzada, ha adottato toni molto duri verso l’Occidente considerato ostile, invocando la via dell’autarchia. Ma il Paese negli ultimi decenni è dipeso dagli aiuti esterni: l’autosufficienza è possibile?

Per l’emiro, l’aiuto esterno è il male, perché crea dipendenza: è una sorta di terzomondista. Per altri Talebani, nel breve termine è indispensabile. L’indipendenza potrebbe essere raggiunta solo raddoppiando le entrate. Ma passare da 2 a 4 miliardi è difficile: affinché l’economia cresca servono investimenti. Inoltre, tra i Talebani c’è un dibattito in parte ideologico in parte pragmatico sull’allineamento esterno. Secondo rumor, alcuni governi finanziano non le casse dello Stato afghano, ma i propri referenti tra i Talebani. I pragmatici di Kabul e gli Haqqani riceverebbero fondi dagli Emirati; il Qatar sosterrebbe i Talebani di Kandahar, che a loro volta ritengono che il Pakistan sostenga gli Haqqani. Questi ultimi, i Talebani dell’est, sono convinti che l’emiro abbia rapporti privilegiati con l’Iran, tanto da aver alimentato il conflitto con Teheran, sostenendo i ribelli del Belucistan per metterlo in imbarazzo. C’è poi il dibattito sulla Cina, verso cui l’entusiasmo iniziale si è raffreddato: c’è molta più prudenza verso un attore considerato rapace.

I Paesi della regione chiedono maggior controllo sui gruppi jihadisti. Mentre di recente il presidente Usa Biden ha detto che al-Qaeda non è più una minaccia in Afghanistan, lodando implicitamente i Talebani. Come stanno le cose?

Ciascun Paese della regione ha protetti al potere tra i Talebani. Ma rimangono le tensioni, specie per i jihadisti. I Talebani hanno esercitato pressioni crescenti sui jihadisti stranieri in Afghanistan, specie su uiguri e usbechi, ma i progressi sono più lenti di quel che gli altri vorrebbero. Il problema più grande è con i Talebani pachistani del Ttp: i Talebani afghani hanno provato a trasferirli al Nord, più lontani dal confine con il Pakistan, ma loro non ci stanno. E crescono le frizioni con Islamabad. Biden ha esagerato per convenienza, ma è vero che i leader di al-Qaeda non intendono stare in un territorio in cui si muore facilmente e in cui continuano a volare droni americani. Tra i qaedisti, qualcuno sospetta perfino che i Talebani collaborino con gli Usa, spiando per loro. Oggi in Africa per al-Qaeda ci sono posti molto più sicuri.

I rapporti esterni dell’Emirato sono condizionati da quelli interni, da cui sembrano dipendere, almeno in parte, anche i provvedimenti discriminatori verso le donne. Ci spiega che fase attraversano i Talebani e come ha fatto Haibatullah Akhundzada a rafforzarsi?

Le opposizioni interne hanno provato a rimuoverlo dalla sua posizione, ma hanno fallito. Haibatullah si è rafforzato sabotando il gabinetto di Kabul e sottraendo parte del potere dei ministri. Un caso esemplare è quello dell’ex ministro delle Finanze, mullah Hidayatullah Badri. Talebano dell’Helmand, forti legami con i capi militari, aveva adottato un approccio troppo istituzionale, rivendicando potere decisionale sul budget. Si aspettava che i dazi del posto di confine di Spin Boldak finissero al ministero a Kabul, non a Kandahar come voleva l’emiro. Che prima lo ha silurato, poi nominato capo della Banca centrale. Il leader è stato abile a manipolare e dividere, stringendo accordi coi Talebani dell’Helmand, che controllano il grosso dei muscoli dei Talebani. La tattica attuale è proteggere Sirajuddin Haqqani, ministro degli Interni, che ha un proprio feudo ed esercito, e indebolire gli esponenti dell’ala più pragmatica, come mullah Yaqub, ministro della Difesa e Abdul Haq Wasiq, il capo dell’intelligence. Il potere di Haibatullah aumenterà: ha dimostrato di essere centrale. Il suo vero obiettivo è sabotare i rapporti diplomatici con l’Occidente. I suoi sono editti sono a orologeria: escono fuori dopo ogni tentativo di riavvicinamento.

La diplomazia euroatlantica è in stallo, incapace di trovare modi efficaci per condizionare le scelte dei Talebani.

Dopo due anni, è evidente una certa arroganza dell’Occidente. Pensava di essere il centro del mondo e che i Talebani si piegassero. Ma loro preferiscono fare affari e accordi a livello regionale, con meno vincoli. Sanzioni e diktat non funzionano e spesso hanno un effetto boomerang: quando i suoi colleghi cercano accordi con gli Usa, Haibatullah ha gioco facile a sabotarli, ricordando che erano i nemici di ieri, i responsabili della morte di molti Talebani. E le reazioni ultra retoriche indeboliscono i pragmatici e rafforzano gli ultraconservatori. I Paesi regionali lo hanno capito: i Talebani non si fanno intimidire e non hanno nulla da perdere, dopo 20 anni di guerriglia e centomila morti.