Addio Hugh Masekela, in un soffio di flicorno
Icone È morto a 78 anni il trombettista sudafricano vera e propria leggenda del jazz che con la sua musica ha lottato contro l’apartheid. Un lungo periodo negli Stati uniti, i successi e gli incontri artistici fino al ritorno nel suo paese
Icone È morto a 78 anni il trombettista sudafricano vera e propria leggenda del jazz che con la sua musica ha lottato contro l’apartheid. Un lungo periodo negli Stati uniti, i successi e gli incontri artistici fino al ritorno nel suo paese
Nel 1960 Hugh Masekela approda negli Stati uniti: per il ventunenne trombettista sudafricano, nato nel 1939 a Wibank, vicino a Johannesburg e morto ieri per un cancro alla prostata, arrivare nella patria del jazz è la realizzazione di un sogno: il jazz è allora una musica estremamente popolare fra le masse nere sudafricane, e da ragazzino Hugh è rimasto affascinato dalla tromba vedendo Young Man With a Horn, un film del ’50 ispirato a Bix Beiderbecke. L’adolescente chiede di avere una tromba a Trevor Huddleston, pastore protestante inglese che presta la sua opera a Sophiatown, sobborgo nero di Johannesburg; altri coetanei seguono il suo esempio: nasce così la Huddleston Jazz Band, cruciale incubatrice di nuovi talenti. Nel ’56 fa epoca l’arrivo per posta di una tromba usata da Armstrong, che Satchmo, sensibilizzato da Huddleston, spedisce al giovane trombettista. Negli ultimi anni cinquanta Masekela gira il Sudafrica assieme a Miriam Makeba. Nel ’59 fa parte, così come la Makeba, del cast completamente nero di King Kong, destinato a diventare il più famoso musical sudafricano. E nel ’59 si costituiscono i Jazz Epistles, in cui Masekela è accanto a al sassofonista e clarinettista Kippie Moeketsi, al trombonista Jonas Gwangwa e al pianista Dollar Brand (poi Abdullah Ibrahim): è una formazione che esprime una nuova modernità del jazz sudafricano, da un lato in sintonia con l’indurimento e le inquietudini dell’hard bop d’oltre Atlantico, da un altro come riflesso del drammatico inasprimento della politica di apartheid.
Già prima del massacro di Sharpeville del marzo del ’60, uno spartiacque per tanti musicisti sudafricani che si decidono per l’esilio, Huddleston si adopera per far studiare Masekela a Londra. Masekela arriva nel maggio del ’60: ma ha in mente New York, e dopo qualche mese è nella Grande Mela. Masekela si immagina già nell’olimpo del jazz. A procurargli una provvidenziale delusione sono due suoi idoli, che suonano il suo stesso strumento, Dizzy Gillespie e Miles Davis, che assieme a Harry Belafonte – mentore della Makeba che è già negli Stati uniti – gli fanno presente che di jazzmen negli Usa ce ne sono anche troppi, e che il giovane trombettista farebbe meglio a mettere nella sua musica una buona dose di Sudafrica.
Dizzy, Miles e Belafonte vedono giusto: se il matrimonio di Masekela con la Makeba dura solo dal ’64 al ’66, nella stessa fase Masekela comincia ad inanellare album che iniziano a fissare i contorni della sua fisionomia artistica e del suo solismo e che incontrano un successo crescente. Decisivo è anche il rapporto con il produttore Stewart Levine, che come Masekela è appassionato di jazz ma anche di black music e dei Beatles: la musica di Masekela si configura così come una brillante miscela di jazz, pop, funk e di umori sudafricani. Di forte presa e di originale freschezza, la formula è indovinata, e funziona perché Masekela è un vero artista, ha una grinta formidabile – anche come vocalist – ma è capace anche di grande poesia, e unisce alla comunicativa un autentico temperamento jazzistico che non si annacquerà mai: e nel sound e nel fraseggio Masekela resterà un trombettista inconfondibile, e inconfondibilmente legato nel gusto melodico e negli accenti al suo background sudafricano.
Nel ’68 un brano, Grazing in the Grass, basato sulla musica popolare delle township, proietta il trombettista sudafricano ai vertici della classifica Usa dei singoli pop, dove il 4 luglio del ’68 vince il duello nientemeno che con Jumping Jack Flash degli Stones: quattro milioni di copie. Il ’68 però è anche l’anno dell’omicidio di Martin Luther King e del riot di Chicago, e il successo non impedisce a Masekela di accorgersi che gli Stati uniti assomigliano troppo al paese da cui si è separato. Incide un album molto politico, Masekela, che la distribuzione fa passare inosservato. Poi sente il bisogno di tornare in Africa. Nel ’73 è a Lagos, dove con Levine è ospite per un mese di Fela Kuti. Del ’74 è Stimela, uno dei suoi hit, in cui Masekela, nato in una città mineraria, descrive le condizioni di esistenza di chi lavora nelle miniere del Sudafrica. Sempre nel ’74 contribuisce ad allestire lo stellare programma di concerti che si tengono a Kinshasa, in occasione dell’incontro Alì/Foreman.
Fra il ’75 e il ’77, con alcuni musicisti del Ghana, realizza alcuni album godibilissimi, pionieristico esempio di musica afro introdotta nel consumo occidentale. Magnifici, e di forte vena sudafricana, anche gli album realizzati nel ’78 con un re dell’easy listening come il trombettista Herb Alpert.
Soweto Blues, un brano sul massacro di studenti del ’76, diventerà un cavallo di battaglia della Makeba. Negli anni ottanta poi il fenomeno della world music e il movimento internazionale di lotta contro l’apartheid lo fanno conoscere a nuove generazioni di ascoltatori, e non solo americani. Masekela, come in attesa della caduta dell’apartheid, si stabilisce in Botswana, ai confini del Sudafrica. Nell’87 dedica a Mandela Bring Him Back Home, che si trasforma in un inno del movimento antiapartheid. Con la Makeba viene coinvolto nelle tournée di Graceland di Paul Simon.
Nel giugno dell’88 partecipa al megaconcerto per i settant’anni di Mandela al Wembley Stadium di Londra. Tornato in patria Masekela, che nella sua autobiografia del 2004, Still Grazing, ha fatto anche i conti con i problemi di alcolismo e di droghe con cui ha dovuto combattere, si è dedicato ad iniziative sociali, in particolare a favore delle scuole e degli studenti di Soweto, ha pubblicato diversi dischi e ha stabilito rapporti con le nuove generazioni della musica sudafricana, con l’hip hop e oltre, per esempio collaborando con il dj Black Coffee, star della house sudafricana. Il consiglio di Dizzy, Miles e Belafonte era perfetto: ma negli ultimi anni Masekela non si è privato del piacere di tornare ai vecchi amori, ai classici di Louis Armstrong, agli standard del jazz. Spesso lo ha fatto – anche in Italia – con il pianista Larry Willis, un amico dai tempi in cui entrambi frequentavano la Manhattan School of Music, e Masekela sognava di diventare un grande jazzista: quello che in effetti è stato.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento