È fitta di incontri ed eventi l’agenda italiana del primo ministro etiope Abiy Ahmed, che da oggi è a Roma per la Conferenza Italia-Africa, dove il governo Meloni svelerà il suo Piano Mattei e il “nuovo corso” dei rapporti con i Paesi africani. Abiy, premio Nobel per la pace nel 2019 «per i suoi sforzi per raggiungere la pace e la cooperazione internazionale», salvo infilarsi un anno dopo in un conflitto civile sanguinosissimo nel Tigray, conclusosi nel 2022 dopo mezzo milione di morti (stime al ribasso) e con ampi strascichi nelle regioni di Amhara e Oromia, è un ospite ingombrante e prestigioso, con un rapporto già consolidato con Giorgia Meloni, che a febbraio 2023 lo ha ricevuto a Palazzo Chigi inaugurando «la nuova era di rapporti» con l’Etiopia e in aprile è andata a Addis Abeba. Un ospite con un’immagine internazionale che è come la regione del Tigray: da ricostruire.

Abiy Ahmed con Giorgia Meloni (Ap)

Il 30 gennaio, giorno dopo la Conferenza Italia-Africa prevista al Senato, Abiy ha due impegni importanti in agenda: uno con il ministro Crosetto, che restituirà all’Etiopia un pezzo d’antiquariato, un aereo da guerra restaurato dall’Italia, e l’altro alla FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura, che ha sede a Roma, al Circo Massimo. Nel 1947, con la sconfitta, l’Italia ha riconosciuto la sovranità e l’indipendenza dell’Etiopia e promise la restituzione di reperti, manufatti e beni, come la nota stele di Axum, che gli italiani avevano rubato al Paese africano. Restituzione mai terminata, che vedrà un passo in avanti martedì: l’aereo in questione è un Meindl/van Nes A-VII Ethiopia 1, che ha servito durante la guerra d’Etiopia dal campo di Jan Meda ad Addis Abeba. Sul lato della fusoliera vi era scritta la parola Tsehay, ovvero «sole» in tigrino, come la terza figlia dell’allora imperatore d’Etiopia Haile Selassiè. I colori dell’Etiopia, verde, giallo e rosso, erano dipinti sul timone e sulle ali. Questo aereo, utilizzato dall’aeronautica imperiale fino all’occupazione italiana, fu catturato dagli italiani il 6 maggio 1936 a Jan Meda: era nascosto in una foresta di eucalipti. Fu portato al Museo dell’Aeronautica di Caserta fino al 1941, poi al Museo dell’Aeronautica di Roma e, infine, entrò a far parte della collezione del Museo dell’Aeronautica a Vigna di Valle, sul lago di Bracciano. L’aeroporto di Bole, ad Addis Abeba, sarà la sua prossima casa.

Alla Fao Abiy avrà un incontro a porte chiuse con il direttore generale, il cinese Qi Dongyu. Fonti non confermate rivelano che gli sarà attribuito un riconoscimento informale per la sua lotta contro la fame, un’iniziativa personale di Qi, visto che l’unico premio FAO è il Champion Award e viene consegnato in giugno. È curioso riconoscere al capo del governo etiope degli sforzi per combattere la fame: secondo l’Ufficio delle Nazioni unite per gli Affari umanitari (OCHA), oggi in Etiopia oltre 20 milioni di persone hanno bisogno di aiuti umanitari e, tra loro, appena un terzo li riceve regolarmente. Al conflitto si è sommata la siccità: 36 dei 97 distretti del Tigray sono in grave crisi, con precipitazioni pari a un terzo della media stagionale. Il Tigray è oggi l’epicentro di una carestia che ricorda quella di metà anni Ottanta, anche perché chi dovrebbe stanziare denaro, raccogliere beni alimentari e distribuirli (la Fao e il Pam, il Programma Alimentare Mondiale) lamenta una carenza cronica di fondi e una sostanziale riduzione degli aiuti.

A questo si sommano i furti: un anno fa gli operatori umanitari hanno scoperto e denunciato piani ben congegnati per rubare gli aiuti: nel Tigray, sia funzionari federali che funzionari locali sono stati accusati di aver dirottato interi camion di grano verso i mulini e di aver poi rivenduto la farina al mercato nero, o di averla esportata nei mercati di Kenya e Somalia. Durante i due anni di conflitto i militari etiopi sono stati visti prendere il cibo per le loro razioni giornaliere dagli aiuti umanitari destinati alle popolazioni locali. L’Unicef denunciò che intere divisioni eritree, alleate di Addis Abeba, avevano gli zaini pieni di latte in formula destinato ai bambini. Un saccheggio talmente organizzato e costante che a maggio il Pam ha sospeso tutti gli aiuti. In questo contesto, Addis Abeba ha continuato a negare l’emergenza e lo stesso Abiy ha annunciato che l’Etiopia era autosufficiente nella produzione di cereali e, anzi, era pronta ad esportarli. Nel frattempo, il governo etiope sta spendendo 10 miliardi di dollari per un nuovo palazzo nazionale e più di 1 miliardo di dollari per le forze armate.

Distribuzione di aiuti alimentari nel Tigray (Ap)

Gennaio è il periodo dell’anno in cui le scorte di cibo, nelle regioni agricole dell’Etiopia, sono tradizionalmente abbondanti: i raccolti, nel Tigray e in Amhara, avvengono tradizionalmente a novembre e l’attuale carenza fa temere che sarà un anno particolarmente difficile. Una realtà denunciata dalle agenzie dell’Onu e da diverse Organizzazioni non-governative ma negata dal governo federale di Addis Abeba, che sostiene due cose: non c’è alcuna carestia e, comunque, stiamo lavorando per fornire aiuti. Internamente all’Etiopia la questione è molto politica: un mese fa le autorità del Tigray avevano dichiarato che 3,5 milioni di tigrini, più della metà della popolazione della regione, avevano necessità di ricevere aiuti per l’intero 2024. I combattimenti tra il governo etiope e le forze del Tigray hanno avuto e stanno avendo una pesante ricaduta sulla gestione politica della regione: la maggior parte degli agricoltori del Tigray possiedono piccoli appezzamenti di terra ma riescono a sbarcare il lunario perché i giovani vengono impiegati nelle città o come lavoratori stagionali nelle aziende agricole commerciali. Oggi l’economia della regione è devastata: le fabbriche sono state saccheggiate o bruciate durante il conflitto, il turismo si è ridotto a zero e i terreni agricoli produttivi sono stati sequestrati o distrutti.