L’unico punto su cui il governo e il Comité del paro hanno concordato al termine della riunione di lunedì è quello relativo al carattere esplorativo dell’incontro. Per il resto, se la distanza tra le parti è apparsa abissale, molto intensa è stata la sensazione di déjà-vu tra i rappresentanti delle forze popolari, ai quali l’incontro è sembrato una replica delle riunioni che, all’indomani della mobilitazione del novembre 2019, erano andate avanti per quattro mesi senza approdare a nulla.

QUANTO A DUQUE, ha continuato, come dicono i colombiani, a «mamar gallo», a fare giochetti, mostrando di prendere assai poco sul serio la determinazione degli interlocutori: nessuna empatia nei confronti delle vittime, sordità totale riguardo alle ragioni della rivolta e chiusura persino rispetto alle prime e in fondo semplici richieste del comitato: la smilitarizzazione del paese e la realizzazione di una riunione a Cali con le forze sociali della città.

Non sorprende allora che il Comité del paro abbia convocato per oggi una nuova giornata di mobilitazione «con moltissime iniziative in tutto il paese», respingendo al tempo stesso la proposta del governo di un semplice «tavolo tecnico di dialogo». Quello che chiedono i manifestanti, stavolta, è un vero negoziato attorno ai punti del pacchetto di emergenza presentato già nel 2020: «Occorre negoziare per giungere a un accordo», ha insistito Diógenes Orguela della Central Unitaria de Trabajo.

E se su questo punto il governo, attraverso il commissario per la pace Miguel Ceballos, ha finito per cedere, decidendosi a usare il termine “negoziato” come richiesto dai manifestanti, è chiaro che i rappresentanti del Comité del paro non accetteranno di sedersi ad alcun tavolo senza prima avere garanzie sullo stop alla repressione da parte delle forze dell’ordine.

«ESIGIAMO CHE VENGA FERMATO il massacro e che si metta fine alla violenza ufficiale e privata contro le persone che esercitano il legittimo diritto alla protesta», ha dichiarato il portavoce del Comité, Francisco Mates.

E intanto continuano a perdersi vite, falciate dalla violenza della polizia. Nelle prime ore di martedì ha smesso di battere il cuore dell’insegnante di yoga Lucas Villa, il volto più allegro e pacifico della rivolta, diventato un simbolo di resistenza a livello mondiale. I manifestanti lo ricordano ballare durante le proteste e spiegare sugli autobus ai passeggeri le conseguenze della riforma tributaria, la causa scatenante della rivolta. Finché la polizia non lo ha ucciso sparandogli otto colpi di arma da fuoco, mentre teneva un discorso nel viadotto Cesar Gaviria della città di Pereira.

ED È MORTO, DOPO ALCUNI GIORNI di coma, anche il ventenne Daniel Alejandro Zapata, gravemente ferito il 1° maggio in piazza a Bogotà: è la prima vittima della repressione nella capitale, dove lunedì notte la polizia ha sparato bombe di gas lacrimogeno contro chi filmava le sue azioni repressive, ferendo anche un corrispondente del sito alternativo Colômbia Informa.