«Puff!», la cometa del secondo quartiere generale di Amazon a New York è svanita in un nulla, con una velocità molto simile a quella con cui era apparsa. La notizia è arrivata di colpo, giovedì pomeriggio, dopo che si erano sparse voci secondo cui la compagnia di Jeff Bezos, sorpresa da un’opposizione politica e civile che non aveva previsto, stava riconsiderando la sua scelta.

Su ad Albany, nell’ufficio di Andrew Cuomo, ritenevano la trattativa ancora in corso; lo stesso vale per Bill de Blasio, al municipio in Lower Manhattan. Il governatore e il sindaco, che non vanno d’accordo su niente e che non si piacciono, avevano unito i loro sforzi per portare nel quartiere di Queens, Long Island City (una zona industriale, dove però da qualche anno le torri di condomini sono spuntate come funghi), il gigante dell’home-shopping, vincendo una gara serratissima, e molto pubblicizzata, tra grandi città Usa, grazie alla promessa di quasi tre miliardi in incentivi fiscali e, tra le altre cose (ciliegina sulla torta, particolarmente derisa dagli oppositori dell’affare), una pista d’atterraggio per elicotteri.

VENTICINQUEMILA POSTI di lavoro, un’iniezione di capitale nelle piccole imprese del quartiere e l’opportunità di rilanciare New York come la capitale americana delle nuove tecnologie, oltre che quella finanziaria, erano gli argomenti di De Blasio e Cuomo, un fan così sfegatato che aveva offerto di farsi ribattezzare Amazon Cuomo. Nessuno dei due leader newyorkesi – che hanno condotto le trattative con una mancanza di trasparenza straordinariamente miope – sembra aver immaginato che l’annuncio del loro deal non sarebbe stato accolto a forza di brindisi dall’opinione pubblica, da parte dei residenti del quartiere e degli attivisti della città.

Soprattutto, Cuomo e De Blasio, non hanno tenuto conto della nuova classe politica entrata al potere dopo le elezioni di Midterm, sia a Washington (dove Alexandria Ocasio-Cortez rappresenta anche alcune parti di Queens) che ad Albany, dove una nuova maggioranza di progressisti ha capovolto le dinamiche del parlamento statale, ostaggio per anni di un gruppetto di democratici che votavano sempre con i repubblicani e che finalmente a novembre sono stati spazzati via.

OLTRE AD OCASIO-CORTEZ («tutto è possibile», tra i suoi tweet di ieri), questa nuova onda, nell’affare Amazon, è stata incarnata dal senatore di origine greca Mike Gianaris, uno strenuo oppositore dell’accordo con Amazon, che avrebbe rappresentato Albany nella commissione dotata del voto chiave per mandarlo a catafascio.

Le argomentazioni del No all’approdo di Amazon – almeno come delineato dalla proposta di accordo – erano tante e tutte valide: basta con le sovvenzioni fiscali a corporation che non ne hanno bisogno e non contribuiscono alla vita della comunità in cui operano (il corporate welfare, coniato da Occupy Wall Street); il fatto che ai lavoratori di Amazon non è dato di entrare in un sindacato; la gentrificazione e il rincaro dei prezzi che l’arrivo di Amazon avrebbe portato nel quartiere (adiacente a quello multietnico magnificamente ritratto da Fred Wiseman in In Jackson Heights); l’impatto su un’infrastruttura cittadina (quella dei trasporti e quella scolastica, in particolare) già quasi completamente in tilt e al cui recupero il nuovo arrivato non avrebbe contribuito nulla.

In nome di tutto ciò, gli attivisti hanno lavorato per quattro mesi – manifestando in strada, di fronte al negozio Amazon a Manhattan, online, attraverso i media; raccogliendo firme in metropolitana e facendo pressioni nei corridoi della politica. In questi quattro mesi di opposizione crescente e ben organizzata, secondo il New York Times, la compagnia di Jeff Bezos non ha visto la necessità di attrezzarsi di lobbisti sul posto – affidandosi a un negoziatore principale che faceva staffetta tra New York e Washington.

UN ATTEGGIAMENTO inspiegabile e da cui non si riesce a dedurre l’esistenza vera e propria di una revisione in corso sui dettagli dell’accordo. Fin dall’inizio, Gianaris era comunque per azzerarlo e ricominciare tutto da capo. «Questo è uno stato che ha preso posizione in difesa dei suoi diritti e non ha lasciato che un’enorme corporation dettasse i termini della trattativa. Tutti vogliono posti di lavoro, ma non ad ogni costo. E non quando l’opinione del pubblico non è nemmeno rappresentata nella conversazione», ha dichiarato il senatore dopo la notizia a sorpresa di giovedì.

Lasciati a bocca aperta, oltre che asciutta, pare senza nemmeno aver avuto l’opportunità di raggiungere Jeff Bezos al telefono prima del suo dietro front, Andrew Cuomo e Bill De Blasi vanno annoverati tra i perdenti in questa gigantesca debacle di public relations.

Da parte sua, il padrone di Amazon ha qui mostrato un risvolto della personalità diametralmente opposto a quello che ha caratterizzato la sua risposta al ricatto del National Enquirer, ma perfettamente in linea con l’arroganza, l’intransigenza e la quasi infantile permalosità che sempre di più sono venuti e definire la cultura di Silicon Valley: o così o pomì.

Dopo aver beneficiato per decenni dell’infatuazione per le nuove tecnologie della generazione politica dei baby boomers, è solo giusto che anche i titani del capitalismo digitale tornino con i piedi sulla terra, e facciano i conti con la realtà.