Gli ottanta anni della Liberazione di Roma, dal 2018 insignita della medaglia d’oro al valor militare per la Resistenza dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, cadono nella cornice di un governo regressivo guidato dagli eredi del Msi e in quello che Piero Calamandrei avrebbe chiamato un «clima palustre» di «vischiosa intossicazione» della storia nello spazio pubblico. Per queste ragioni diviene centrale non solo «fare memoria» ma cogliere la natura, i caratteri ed il senso degli eventi della Roma liberata del 1944 per leggervi in controluce il significato degli accadimenti del nostro tempo contemporaneo.

IL 4 GIUGNO 1944 colloca alcuni cardini fondamentali nel corpo della nazione repubblicana e nel suo processo costituente: la Liberazione della capitale politica del Paese; la rifondazione della Cgil come sindacato libero e unitario attraverso il «Patto di Roma»; la nascita (il 6 giugno) dell’Anpi come avvio del riconoscimento della Resistenza quale fondamento del nuovo Stato antifascista.

LO STESSO GIORNO la città subì la strage de La Storta come ultimo segno indelebile di quel terrore nazifascista da cui erano derivati le deportazioni di carabinieri ed ebrei; le camere di tortura di via Tasso e delle pensioni Oltremare e Jaccarino; l’eccidio di Pietralata; la strage delle Fosse Ardeatine; il rastrellamento del Quadraro; il piombo sulle donne (da Teresa Gullace a Caterina Martinelli) che protestavano per l’arresto dei loro compagni o assaltavano i forni in cerca di pane. In questa Roma la Resistenza combatté con la forza dei Gruppi d’Azione Patriottica (di Pci, Psiup, Bandiera Rossa e Partito d’Azione) e la mobilitazione di una vasta minoranza della popolazione civile. Nella Roma libera il Teatro Brancaccio divenne il palcoscenico dove Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi, il 9 e 23 luglio, disegnarono la forma dell’Italia nuova attorno «alla libertà» e «a un vero regime democratico», scandì il segretario comunista.

LA CIFRA E IL SEGNO di quegli eventi sono il convitato di pietra dell’Italia di oggi. Un Paese in cui la storia della Resistenza di Roma è disconosciuta dalle più alte cariche istituzionali che ne hanno fatto strame piegandola alle proprie radici identitarie (quelle post e neofasciste del Msi) che nulla hanno a che vedere con i fondamenti della Repubblica. Così la più importante azione militare della Resistenza compiuta in una capitale europea occupata (l’attacco dei Gap comunisti a Via Rasella del 23 marzo 1944 contro il III battaglione Polizeiregiment Bozen) diventa, per il presidente del Senato Ignazio Benito La Russa, «una pagina tutt’altro che nobile» da condannare e disconoscere. Dal canto suo la presidente del Consiglio Meloni se nel 2023 aveva tentato di nazionalizzare le Fosse Ardeatine definendole una strage «di italiani» (obliando la natura politica nazifascista dell’eccidio e la diretta partecipazione dei fascisti di Salò anch’essi italiani) nel 2024 è tornata a definirle una «rappresaglia» (un istituto, per fortuna poi cancellato, che era vigente nei codici militari dell’epoca le cui regole i nazifascisti violarono) anziché un crimine di guerra per il quale vennero poi processati alti comandi e ufficiali tedeschi.

IN MEZZO abbiamo assistito ad almeno due emblematiche «ricostruzioni storiche» del ministro della Cultura Sangiuliano. La prima con una memorabile scenetta a microfono rovesciato verso i giornalisti ai quali spiegava che per definirsi antifascisti è necessario dirsi anche anticomunisti. Confessando così (non sarebbe la prima volta visti i precedenti del premio Strega) di non aver letto la prima pagina della Costituzione, su cui ha giurato, e dove c’è la firma del Presidente dell’Assemblea Costituente, Umberto Terracini. La seconda lo scorso 25 aprile davanti al Museo Storico della Liberazione di via Tasso quando ha sostenuto che nella Resistenza «c’erano le brigate mazziniane dei repubblicani, le brigate Matteotti dei socialisti, i cattolici delle fiamme verdi, la brigata Osoppo e la brigata ebraica, i monarchici di Edgardo Sogno e i liberali e c’era una minoranza comunista che poi ha tentato di monopolizzare la Resistenza». Il ministro evidentemente non sa che la storiografia è da anni concorde nell’indicare le Brigate Garibaldi del Pci come il 50% del totale delle formazioni della Resistenza in Italia.

QUESTO «SPECCHIO deformante – ammoniva Calamandrei – che dà a chi vi si guarda un aspetto mostruoso di caricatura» descrive senz’altro aggiungere la condizione di oggi, dove il disconoscimento della radice storico-fondativa della Repubblica non rappresenta solo la cancellazione del passato ma uno strumento di governo del presente che guarda al futuro prossimo con lo stravolgimento della Costituzione nata dalla Resistenza. Fare memoria non significa solo ricordare ma mostrarsi corpo sociale e politico consapevole delle proprie origini e, dunque, di sé.