In Kenya è arrivato il giorno dell’investitura ufficiale di Uhuru Kenyatta. Una cerimonia non solo formale data la presenza di ben 26 capi di stato e decine di delegazioni ufficiali a dimostrare l’importanza economica, politica e strategica del paese.

Una nota di rilievo è la partecipazione del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Lo stato di Israele ha legami storici con tutti i paesi dell’Africa orientale che a vari livelli hanno avuto interessi simili a quelli di Israele nel mantenere la sicurezza nella regione, compresa la protezione dei traffici marittimi. Il Kenya ha beneficiato dell’assistenza tecnologica israeliana soprattutto in settori come l’agricoltura e la gestione delle risorse idriche (il Kenya rappresenta il 10% dell’intero commercio di Israele con l’Africa e ha importazioni per 93.9 ed esportazioni per 51,9 milioni di dollari).

Da parte sua Israele ha diverse necessità sia in termini di sicurezza sia in termini politici per i voti che spesso servono nelle relazioni diplomatiche interne al consiglio di sicurezza dell’Onu. Le relazioni con il Kenya sono consolidate e stabili fin dalla prima presidenza di Jomo Kenyatta che l’ex ambasciatore israeliano Asher Naim ricorda come uomo «amichevole e fiducioso verso Israele per tutta la sua vita». Infatti, Kenyatta diceva: «Voi avete costruito una nazione con ebrei provenienti da ogni angolo del mondo; vogliamo costruire un Kenya unito composto da una moltitudine di tribù unite insieme attraverso l’Harambee».

Tuttavia, le buone relazioni non sono state relegate alla sola figura di Kenyatta, «abbiamo avuto – prosegue Asher Naim – buone relazioni con Mwai Kibaki, presidente dal 2002 al 2013, e con Daniel Arap Moi, presidente dal 1978 al 2002». Relazioni che si sono intensificate negli anni della jihad somala. A giugno 2014 Uhuru Kenyatta incontra il ministro degli Esteri Avigdor Liberman, definisce Israele «un vero amico del Kenya» e trova che «l’unico modo per sconfiggere il terrorismo è continuare a sostenersi l’un l’altro in questioni di sicurezza e commercio».

Anche Raila Odinga, leader dell’opposizione, quando è stato primo ministro ha mantenuto buone relazioni e scambi di visite con Israele. Unica criticità nelle relazioni nel 2012, quando il Kenya ha appoggiato la risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni unite sullo status di «Stato non membro osservatore» della Palestina. Amicizie e scambi su più livelli, che recentemente hanno portato il primo ministro Netanyahu a chiedere che «Israele possa essere uno stato osservatore dell’Unione africana» e che gli stati africani possano «respingere il pregiudizio anti-israeliano all’Onu e in organismi come l’Assemblea generale, l’Unesco e il Consiglio per i diritti umani».

L’opposizione non ha previsto, almeno ufficialmente, proteste, ma verrà organizzato un raduno di preghiera «per ricordare tutte le persone che sono morte in questi mesi per la brutalità della polizia». Il capo della polizia Japheth Koome ha dichiarato che «l’evento è illegale» e ha poi proseguito riferendosi a Babu Owino, deputato della zona di Embakasi: «La smetta di mentire ai keniani, chiunque ci andrà lo farà a proprio rischio e pericolo».

Da parte sua Uhuru Kenyatta ha esortato i politici a utilizzare «la diversità del paese per il bene nazionale invece di abusarne per il guadagno personale. All’interno del mondo politico, è normale avere differenze, ma ciò non significa che non possiamo coesistere e vivere insieme in pace».

Preghiera e pace, due parole difficili da conciliare nel Jamuhuri ya Kenya.