Secondo i dati del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale al 5 luglio si contano 50 suicidi all’interno delle carceri italiane. L’ultimo è un ventenne tunisino morto nel carcere fiorentino di Sollicciano.

Da mesi aveva presentato un reclamo al tribunale di sorveglianza per chiedere «il ripristino delle condizioni di salubrità»: era rinchiuso in cella senza acqua con cimici, muffa e topi. Il detenuto sollecitava i giudici a «ordinare alla amministrazione penitenziaria di porre fine alla lesione e alla limitazione dei suoi diritti».

Rispetto allo stesso periodo dello scorso anno e del 2022 sono 16 in più. Si tratta di 48 uomini e 2 donne, 27 sono italiani e 23 stranieri, provenienti da 14 diversi paesi.

Delle persone che si sono tolte la vita 19 (il 38%) erano in attesa di giudizio. L’età media è di circa 39 anni e il 52% si è tolto la vita nei primi sei mesi di detenzione, tre persone addirittura dopo soli cinque giorni.

I dati arrivano a pochi giorni dall’approvazione del decreto sul cosiddetto «Carcere sicuro» promosso Carlo Nordio. Il piano del ministro della giustizia viaggia su due binari: ridurre la burocrazia in carcere e rafforzare il ricorso alle strutture alternative in cui scontare la pena.

Sull’emergenza sovraffollamento torna anche l’Anm, che non risparmia critiche al provvedimento varato dal governo.

«Se oggi il l’emergenza è il sovraffollamento nelle carceri non trovo nessun tipo di risposta nel decreto – afferma il presidente dell’Associazione magistrati Giuseppe Santalucia – Ce ne potevano essere tante, non c’è nessun tipo di strumento che consenta uno sfoltimento del numero dei detenuti». Per il rappresentante delle toghe in questo modo «il carcere diventa criminogeno: deve privare soltanto della libertà non degli altri diritti. Deve essere il luogo della rieducazione e risocializzazione, non il luogo della sofferenza».