80mila litri di gasolio al giorno. Non una goccia di meno. È il fabbisogno energetico dei servizi sanitari di Gaza avverte Tedros Adhanom Ghebreyesus. Altrimenti i generatori dei pochi ospedali funzionanti (in minima parte) e le ambulanze si fermeranno e sarà la catastrofe. «Non lo ripeteremo mai abbastanza: Gaza non può più perdere gli ospedali», avverte il capo dell’Oms. Il carburante serve anche per le unità di desalinizzazione e le panetterie. A questo quadro catastrofico è collegata parte dei decessi collaterali già avvenuti e che si verificheranno a Gaza nei prossimi mesi. Lo scrive la prestigiosa rivista medica The Lancet che, tra le altre cose, conferma la credibilità dei dati di morti e feriti palestinesi che riferisce il ministero della Sanità di Gaza messa in discussione da Israele e da alcuni organi di stampa, anche stranieri, che parlano di «numeri gonfiati da Hamas». Anzi, precisa The Lancet, il numero di decessi segnalati è sottostimato, poiché è probabile che i corpi non recuperati sotto le macerie siano più di 10.000.  Anche se il conflitto terminasse adesso, nei prossimi mesi e anni continuerebbero a verificarsi molte morti indirette per malattie – soprattutto quelle infettive -, per la distruzione delle infrastrutture sanitarie, la carenza di cibo, acqua potabile, medicine e l’impossibilità della popolazione di fuggire in luoghi sicuri. Nei conflitti recenti tali morti indirette sono da tre fino a 15 volte superiori a quelle dirette. «Applicando una stima prudente di quattro morti indirette per ogni diretta ai 37.396 decessi segnalati fino a fine giugno, non è improbabile stimare che fino a 186.000 decessi potrebbero essere attribuiti all’attuale conflitto a Gaza», spiega la rivista. Tenendo conto che la popolazione di Gaza alla fine del 2022 era di 2.375.259, ciò vorrebbe dire la morte per il 7,9% degli abitanti della Striscia. The Lancet chiede la fine dell’offensiva israeliana a Gaza per contenere quanto più possibile questa previsione catastrofica.

Il cessate il fuoco invece è lontano, malgrado i passi in avanti fatti dalla trattativa dopo la decisione presa da Hamas di negoziare il rilascio degli ostaggi israeliani anche senza la garanzia di un cessate il fuoco permanente. Si tratta di una rinuncia importante perché il movimento islamico per mesi ha ripetuto di volere subito la tregua definitiva. I mediatori – Qatar ed Egitto – da parte loro assicurano che fintanto che i negoziati saranno in corso, il cessate il fuoco rimarrà in vigore. Non è ciò che pensa il governo israeliano. Il giornale Haaretz riporta che il premier Netanyahu ha diffuso un elenco di cinque condizioni, tra cui quella che l’accordo dovrà consentire a Israele, dopo la liberazione degli ostaggi, di tornare a combattere fino alla distruzione di Hamas. Condizioni che critica anche il leader dell’opposizione Yair Lapid, perché rischiano di compromettere l’esito dei negoziati in un momento cruciale.

Con ogni probabilità Netanyahu ha voluto rassicurare i suoi alleati di estrema destra che minacciano di far cadere il governo se sarà fermata l’offensiva a Gaza. Secondo il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich «Hamas sta crollando e implora un cessate il fuoco. Questo è il momento di schiacciare e distruggere il nemico. Fermarsi ora, poco prima della fine, e permettergli di riprendersi in modo che possa combatterci di nuovo è una follia insensata che vanificherebbe i risultati faticosamente raggiunti durante la guerra». Il suo collega Itamar Ben-Gvir ha aggredito verbalmente Netanyahu ammonendolo dal prendere decisioni da solo sulla guerra. In queste circostanze è difficile immaginare che Ronen Bar, il capo dei servizi segreti interni (Shin Bet), che doveva partire ieri per il Cairo, abbia ricevuto il mandato di arrivare a un accordo con Hamas sugli ostaggi. Due giorni fa, sempre Haaretz, ha ricordato che il 7 ottobre, il giorno dell’attacco del movimento islamico nel sud di Israele, i vertici militari ordinarono di sparare contro i propri soldati e civili per evitare che venissero portati nella Striscia di Gaza. Fu applicata quella che è nota in Israele come la Direttiva Annibale.

Sullo sfondo c’è la strage quotidiana di Gaza. Ieri i mezzi corazzati, dopo intensi bombardamenti aerei e di artiglieria, sono penetrati di nuovo nel cuore di Gaza City da diverse direzioni mentre ai civili palestinesi veniva intimato di evacuare dopo una notte di bombardamenti che hanno ucciso decine di persone. Diversi edifici a più piani sono stati distrutti. Gaza City, il capoluogo della Striscia, è stata una delle prime aree occupate dalle truppe israeliane quando è cominciata l’offensiva di terra alla fine dello scorso ottobre. Gli scontri a fuoco con i combattenti di Hamas e di altre formazioni palestinesi, che continuano a resistere, non sono mai cessati nei passati nove mesi e l’esercito israeliano fa fatica a tenere il controllo della città, in gran parte in rovina. Domenica notte e ieri le squadre di emergenza della Protezione civile non sono riuscite a raggiungere decine di vittime per la presenza dei cingolati nelle strade di Daraj e Tuffah a est e di Tel Al-Hawa, Sabra e Rimal più a ovest.  L’esercito afferma di operare, grazie ad informazioni di intelligence, intorno al quartier generale dell’Unrwa (Onu) dove Hamas avrebbe una sua ampia base sotterranea, con depositi di armi. Il capo dell’ufficio politico di Hamas, Ismail Haniyeh, ha avvertito che la gravità dell’attacco israeliano a Gaza city riporterà al punto di partenza il negoziato per il rilascio degli ostaggi.

Migliaia di palestinesi si sono precipitati verso la strada che costeggia il mare di Gaza city. «Il nemico è alle nostre spalle e il mare è di fronte a noi, dove andremo? I proiettili dei carri armati e i missili degli aerei cadono sulle strade e sulle case come una eruzione vulcanica. La gente corre in tutte le direzioni e nessuno sa dove andare», ha detto Abdel Ghani, un abitante all’agenzia Reuters. I medici dell’ospedale Al-Ahli hanno dovuto evacuare i pazienti nell’ospedale indonesiano, già affollato e scarsamente attrezzato.