Zita Gurmai, ungherese, è presidente delle donne del Partito del socialismo europeo (Pes) e vicepresidente della Foundation of european progressive studies (Feps). Già europarlamentare per due legislature, tra il 2004 e il 2014, e deputata al parlamento di Budapest tra il 2018 e il 2022, stamattina Gurmai parteciperà tramite videocollegamento all’assemblea delle donne democratiche, che si tiene a Roma, alla presenza della segretaria Pd Elly Schlein. Abbiamo raggiunto la presidente delle donne del Pes subito dopo una conferenza tenuta in Ungheria in occasione dell’International Women’s day. «Un evento tutto al femminile con 150 partecipanti, sul tema donne e populismo», ci spiega. «Abbiamo esaminato uno studio sulla situazione in Serbia e in Ungheria».

Iniziamo dall’Ungheria. Com’è la situazione?
Vorrei farlo con dei numeri e partirò da un paio di esempi: nel calcio, lo sport nazionale, noi ungheresi siamo al 27esimo posto al mondo. Come forza economica siamo stimati al numero 57. Eppure, quando parliamo di diritti delle donne e di uguaglianza di genere, l’Ungheria è al 99° posto su 146 Paesi. Dal 2008 siamo arretrati di 39 posti: una vergogna assoluta. Siamo il Paese in cui le donne nel Parlamento nazionale sono il 14%. È il peggiore dell’Unione europea. Davanti a noi nel mondo ci sono lo Zimbabwe, la Mongolia o il Kirghizistan.

Cosa è cambiato, in peggio, nell’era Orbán, per i diritti delle donne?
C’è stato un forte contraccolpo proprio negli ultimi 15 anni, in cui si è manifestato ed è cresciuto il “patriarcalismo”, che si è manifestato non solo in Ungheria, ma anche in Serbia. Paradossalmente, nell’Europa centrale e orientale, sotto i regimi comunisti, gli sforzi di emancipazione femminile non mancavano. Per quanto riguarda i diritti delle donne e l’uguaglianza di genere in Ungheria il problema è Orbán. A lui non piace la parola “uguaglianza” e il termine gender è proprio il male, per lui.

In Ungheria l’aborto è in pericolo?
Sono convinta che l’80% degli ungheresi non vorrebbe restrizioni. Di tanto in tanto i cristiano-democratici (il partito di governo Fidesz) provano a metterlo in agenda, ma poi capiscono che non è il caso. Poi, certo, giocano lo stesso con i diritti: hanno imposto alle donne di ascoltare il battito del cuore del feto. E questo è inaccettabile.

A settembre ’22 un rapporto redatto dall’Ufficio dei revisori economici del Parlamento, vicino a Orbán, affermava che «l’alto grado di istruzione femminile è un fenomeno che in Ungheria può creare problemi all’economia, abbassare il tasso di natalità e mettere in difficoltà i maschi».
È molto deludente quando gli uomini pensano di tornare al XIX secolo. Ma siamo nel XXI secolo e in un Paese membro dell’Ue dove bisogna favorire la riconciliazione tra famiglia e lavoro. È necessario ottenere condizioni di lavoro e di alloggio adeguate per tutte le donne. Nessuno può permettersi di dirci cosa dobbiamo fare.

Come si fa a contrastare le idee di Orbán?
Ho imparato qualcosa proprio oggi dalla mia sorella polacca: se le donne non iniziano a farsi sentire, non possiamo avere un altro governo. Quindi, credo che le donne siano la chiave per i cambiamenti politici. È quello che abbiamo fatto nel 2002, quando le donne erano in strada ed ero in prima persona a capo di questo movimento 22 anni fa. Ho una vera paura per le prossime elezioni europee. Se arriva il populismo, si rischia un enorme contraccolpo per i nostri diritti in tutta l’Ue.