Fra cinque mesi la Francia vota per il primo turno delle presidenziali, il 10 aprile. Il ballottaggio sarà il 24. La campagna elettorale non è ancora veramente cominciata, anche se ci sono già una trentina di candidati dichiarati, più o meno credibili, perché per presentarsi al nastro di partenza i pretendenti devono raccogliere le firme di almeno 500 eletti (dagli enti locali al parlamento). Il panorama politico è spezzettato e confuso, i principali partiti che nella V Repubblica hanno governato – il Partito socialista e la destra, gollista o liberale – stanno attraversando a livello nazionale un momento difficile. Il Ps ha scelto con un voto interno la sua candidata, la sindaca di Parigi Anne Hidalgo. La sinistra per il momento è in campo con 7 candidati, che dovranno dividersi non più del 28% dei voti. La destra Lr non ha ancora un nome, sarà scelto dagli iscritti il 4 dicembre su 5 pretendenti. Emmanuel Macron, che tutti i sondaggi per ora danno vincente, aspetta a entrare in pista ufficialmente.

COSÌ, IN QUESTO PERIODO di attesa, un personaggio ha conquistato la scena: Eric Zemmour, politologo da poltrona di talk show televisivi, star di CNews del miliardario Bolloré, condannato due volte per provocazione alla discriminazione razziale (2011) e provocazione all’odio verso i musulmani (2018), sta attirando tutti i riflettori, benché non abbia ancora ufficialmente dichiarato la sua candidatura (fa campagna presentando il suo ultimo libro, La Francia non ha ancora detto l’ultima parola, pubblicato in conto autore).

L’ultimo sondaggio (Harris) gli dà il 16-18% (nel 2002, in presenza di una pletora di candidati, Jean-Marie Le Pen è arrivato al ballottaggio con il 16,8% dei voti al primo turno). Questa massa di voti potenziali l’ha presa in parte a Marine Le Pen, che rischia di essere spodestata del ruolo di prima sfidante di Macron. Ma Zemmour attira anche un quarto degli elettori di François Fillon del 2017, cioè l’ala più reazionaria della destra classica nelle questioni sociali e la più liberista in economia (per un taglio drastico al welfare).

Nelle sabbie mobili della politica francese attuale è all’opera uno scongelamento del voto dell’estrema destra, che avrà conseguenze importanti alle legislative che seguiranno a giugno le presidenziali. Zemmour dice: «Tutti sanno che Marine Le Pen non vincerà mai». Per Zemmour, Marine Le Pen è «di sinistra», perché parla di pensione a 60 anni e di aumentare i salari (il voto operaio, dopo l’astensione, va al 33% al Rassemblement national).

GLI ARGOMENTI di questo scongelamento sono sorprendenti al primo sguardo. La campagna mascherata di Zemmour è di estrema destra radicale: difensore della «razza bianca» contro un’immigrazione musulmana che mira alla «grande sostituzione» di popolazione per «colonizzare l’ex colonizzatore», una Francia «in declino» sull’orlo della «guerra civile», contro «un’invasione migratoria che minaccia la vita delle donne», che poi accusa di fare carriera «a letto». Ingiunge ai musulmani di «cambiare nome», li minaccia di espulsione, nei suoi discorsi le parole che ricorrono di più sono «Francia, uomo, guerra, razza».

Si presenta come erede di Maurras e ammiratore di Houellebecq. Zemmour, nato nel 1958 a Drancy nella periferia parigina, di famiglia piccolo-borghese, ebreo di origine algerina, accusa i resistenti comunisti di aver spinto alla «guerra civile», afferma che Pétain ha «salvato gli ebrei di Francia», sollevando imbarazzo e critiche tra gli ebrei francesi (dice persino che Dreyfus era colpevole). Tutto questo non gli impedisce di volersi come vero erede del gollismo. Del resto sembra avesse pensato di dichiararsi candidato all’Eliseo il 9 novembre, giorno della morte di De Gaulle (e del colpo di stato di Bonaparte nel 1799, con il Consolato che mise fine alla Rivoluzione), ma martedì a Colombey-les-Deux-Eglises ci sarà ressa (i 5 candidati Lr, due candidati di estrema destra, persino Hidalgo) e la sera c’è Macron in tv sulla ripresa del Covid e l’economia).

IL “CONFUSIONISMO” di Zemmour, che affonda le radici nell’ideologia nazionalista della “preferenza nazionale”, ha il sostegno del teorico del Club de l’Horologe, Jean-Yves Le Gallou, ma al tempo stesso a gestire la sua comunicazione è Olivier Ubéda, che ha lavorato per anni con i gollisti. L’organizzatrice è la giovane ambiziosa Sarah Knafo.

Zemmour ha già raccolto almeno 10 milioni di euro per la campagna. E più di 14mila articoli dedicati a lui sui media, che lo hanno incoronato come il «Trump francese». Jean-Luc Mélenchon della France Insoumise è il solo ad aver fatto con lui un dibattito in tv. Zemmour, che è vicino a Marion Maréchal Le Pen, a settembre ha incontrato a Budapest Viktor Orbán.