Secondo Zelensky la riconquista di Kherson è «l’inizio della fine della guerra». Il presidente ucraino probabilmente immagina uno scenario in cui le truppe russe siano ricacciate oltre il confine o decidano di andarsene, come avevano chiesto i suoi ministri nei giorni scorsi.

Sarebbe la conditio sine qua non di Kiev per sedersi al tavolo negoziale, tuttavia l’entusiasmo del leader ucraino ieri, di fronte alla popolazione di Kherson ovest appena ritornata sotto il controllo del suo esercito, tra centinaia di bandiere gialle e blue e i militari in fila per ricevere encomi, ha aggiunto un elemento significativo e inedito.

«Siamo pronti per la pace, per tutto il Paese», ha affermato con convinzione Zelensky, dopo aver motivato le truppe rassicurandole sul fatto che «la vittoria si avvicina».

SINGOLARI LE REAZIONI di Mosca: siccome secondo quanto ha ribadito il portavoce di Putin, Dimitry Peskov, «Kherson è territorio russo», tecnicamente il presidente ucraino ha oltrepassato il confine della Federazione russa senza permesso. Un laconico «no comment» è stata la reazione ucraina a questa rimostranza, che stavolta ha dell’incredibile.

In secondo luogo, più seriamente, le richieste della controparte sono state considerate «inaccettabili». A dirlo è stato il viceministro degli Esteri ed ex ambasciatore russo presso la Nato, Alexander Grushko: il fatto che le forze armate russe si ritirino dall’Ucraina per poter dare inizio ai negoziati non è nemmeno contemplabile.

E forse l’opinione di una parte del governo degli Stati uniti non è troppo discordante dalle posizioni di Grushko. Stando al reportage pubblicato dal Wall Street Journal ieri, il consigliere per la sicurezza di Washington, Jake Sullivan, in un incontro con Volodymyr Zelensky lo scorso 4 novembre gli avrebbe suggerito di mostrarsi aperto ai negoziati (suggerimento non scontato se si considerano le ultime uscite pubbliche dei funzionari di Kiev).

Non solo, due anonimi diplomatici europei avrebbero rivelato al quotidiano Usa che Sullivan avrebbe consigliato al presidente ucraino di pensare a «priorità e richieste realistiche» da portare al tavolo con la controparte. Il cardine di questa ragionevolezza sarebbe la «riconsiderazione» dell’obiettivo di riconquistare la Crimea, annessa alla Russia dal 2014.

NON SI DIMENTICHI che persino il capo di stato maggiore congiunto statunitense, Mark Milley, la settimana scorsa aveva parlato dell’«impossibilità di una vittoria netta per entrambi gli eserciti in campo».

Lecito pensare che una parte non marginale dei vertici militari e politici statunitensi non veda di buon occhio il prolungamento ad libitum del conflitto. Ciononostante Sullivan aveva chiarito che «gli Usa non stanno facendo pressioni sull’Ucraina» e che gli aiuti a Kiev continuano a essere programmati e inviati.

E infatti Zelensky nel suo discorso di ieri da Kherson non ha dimenticato che una parte consistente della resistenza ucraina e dei successi della controffensiva militare derivano dalle forniture dei Paesi Nato e ha lodato i lanciarazzi multipli Himars, ammettendo che «hanno fatto una grande differenza».

CHE WASHINGTON stia vagliando strade alternative è palese anche dall’incontro a sorpresa di ieri tra funzionari russi e statunitensi ad Ankara, in Turchia. In un primo momento il colloquio era stato tenuto segreto ma poi nel pomeriggio un portavoce del Pentagono ha confermato la veridicità delle indiscrezioni apparse sui giornali russi.

La Cnn ha riportato che il direttore della Cia, William Burns, ha incontrato il capo del Svr (l’intelligence estera russa), Sergei Naryshkin. Sembra quasi che da Washington abbiano tenuto a far sapere al mondo che stava parlando con Mosca. Anche il Cremlino ha ammesso la veridicità dell’incontro, chiarendo che si sarebbe trattato di un’iniziativa americana.

Per la Casa bianca era fondamentale parlare della «gestione del rischio, in particolare il rischio nucleare e i rischi per la stabilità strategica» e Kiev ne era stata informata per tempo. L’iniziativa, molto più delle dichiarazioni a mezzo stampa, la dice lunga sul cambio di approccio di Washington al conflitto in Ucraina.