«La questione non è come riconquistare i territori occupati, ma come fermare questa dannata macchina da guerra che sembra inesauribile» dice Sergei alle porte di Dergaci, sobborgo a nord-ovest di Kharkiv. Anche qui i missili russi cadono quotidianamente e mentre parliamo con Sergei si sentono le batterie ucraine rispondere al fuoco. «I russi sono vicini?» chiediamo, «abbastanza, si combatte a una ventina di chilometri da qui» risponde il sottufficiale. Ma la situazione, come nella migliore tradizione omertosa dei militari ai posti di blocco è sempre «normalna».

Il presidente Zelensky è arrivato a Kharkiv per commemorare le 7 vittime del bombardamento di giovedì. «L’intera città, l’intera regione di Kharkiv meritano il nostro sostegno, la nostra gratitudine e il nostro rispetto» ha dichiarato il presidente mentre visitava i locali distrutti della tipografia. «C’è bisogno di unità e sostegno reciproco» ripete il presidente, che ultimamente ha assunto un tono progressivamente più paternalistico nei suoi discorsi alla nazione. In parte funziona, sono in molti a sentirsi smarriti di questi tempi in Ucraina. Ma a qualcuno inizia a dare fastidio. Ogni occasione è adatta per reclamare armi, armi con le quali una strage «sarebbe stata evitata».

IL PRESIDENTE ha poi «presenziato a delle riunioni tecniche sulla difesa della regione» e, secondo alcune indiscrezioni locali, ha ordinato ai generali di tenere Lyptsi e Vovchansk (i due centri fuori da Kharkiv dove si combatte più duramente) a ogni costo, almeno fino alla Conferenza di pace che si terrà in Svizzera il 15 e 16 giugno prossimi. Il mondo sa che l’iniziativa è in mano russa al momento, e lo ha ripetuto anche il capo dei servizi segreti esteri russo Sergei Naryshkin ieri, ma lo sfondamento del fronte non è avvenuto e non è detto che avvenga in tempi brevi. Chasiv Yar, ad esempio, ancora resiste contro ogni previsione. La spinta iniziale, favorita in parte dalla sorpresa in parte dalla schiacciante superiorità numerica e tecnica russa, si è molto ridimensionata. Il generale Igor Prokhorenko, dello stato maggiore ucraino, ieri ha dichiarato che «la situazione è sotto controllo, le truppe russe sono state fermate». Seppure Prokhorenko si mostri fin troppo ottimista, ipotizzando addirittura riconquiste, bisogna constatare che nell’ultima settimana la controparte non è riuscita a conquistare terreno, anche a costo di un grande dispendio di energie.

«NON CAPISCO come cavolo è possibile che i russi vanno a morire come se andassero in vacanza» dice un altro militare, mentre Sergei si sposta all’ombra per ripararsi dal sole cocente. «Perché sono degli idioti a cui fanno il lavaggio del cervello!» tuona il caposquadra interrompendo ogni ragionamento. Eppure la questione è tutt’altro che marginale. I soldati ucraini hanno capito che i russi sono e saranno sempre molti più di loro. Il che non ha impedito agli uomini di Kiev di difendersi egregiamente fin qui, ma a Gaza non cadevano le bombe israeliane, a Taiwan la Cina non faceva esercitazioni per «la presa del potere» e le elezioni negli Usa erano ancora lontane. A proposito di elezioni, secondo Bloomberg il presidente Biden e la sua vice Harris potrebbero non presentarsi alla Conferenza di pace, per andare una raccolta di fondi straordinaria con i divi del cinema di Hollywood. Sarebbe uno smacco importante per tutto l’investimento di Kiev sulla due giorni elvetica. Sulla quale, del resto, la posizione russa è chiara: «Non porterà a nessun risultato reale», come ha detto ieri Naryshkin.

«RESISTERE in questo momento a Kharkiv è questione di vita o di morte» riprende Sergei, riferendosi non soltanto ai soldati ma a tutta l’Ucraina. L’idea che siamo giunti all’ultima frontiera è diffusa tra molti soldati semplici che si informano principalmente su internet. Gli ufficiali, invece, attendono altre manovre ancora più a nord, verso Sumy, che è stata bombardata duramente anche ieri. Sulla strada per Zolochiv, in ogni caso, si scavano trincee con le ruspe, siamo già a diverse centinaia di metri di percorsi, segno che il processo è in atto già da un qualche tempo. Incontriamo degli sminatori in pausa. «Ci sono molti campi minati qui?» Non hanno molta voglia di parlare, assomigliano ai poliziotti messicani grassi delle commedie televisive che si appisolano nella controra all’ombra degli alberi. Comunque alla fine gli estorciamo che per ora gli interventi sono di messa in sicurezza e riguardano i territori contesi fino alla controffensiva ucraina di due anni fa. Ci sono migliaia di chilometri quadrati di territorio ucraino a rischio mine e i problemi continueranno per molti anni anche dopo la guerra. Ma non è il momento di pensare al futuro.

NEL CENTRO di Zolochiv sorprende trovare vita. Fuori da una profumeria, aperta, due ragazze fumano. «Ma non avete paura di restare qui?». «Un po’ sì» risponde la proprietaria del negozio, «ma finché restano tutti…». Non ci sono state molte evacuazioni? «No, per ora qui sono rimasti quasi tutti, anche se negli ultimi giorni bombardano sempre più spesso». E se arrivano i russi? «Non li aspetteremo» interviene l’altra, «se le cose si mettono davvero male, prendiamo ciò che possiamo e ce ne andiamo». «Sperando di poter tornare» aggiunge la proprietaria con un sospiro. Poi, come riavendosi da un brutto pensiero, «ma per ora siamo qui». Transeunte, come tutto nell’est dell’Ucraina: dalla linea del fronte alle vite delle persone.