«I bombardamenti all’impianto di Zaporizhzhia non hanno causato alcuna minaccia immediata alla sicurezza nucleare». A dirlo è Rafael Mariano Grossi, direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’Energia atomica, una voce che sarebbe difficile considerare faziosa in questo contesto.

Anzi, l’intervento di Grossi arriva dopo una settimana di illazioni su un presunto disastro atomico imminente e di accuse reciproche tra Russia e Ucraina.

«Il livello di radiazioni rimane normale, anche se l’impianto di stoccaggio del combustibile esaurito a secco della centrale nucleare di Zaporizhzhia a Energodar, controllata dai russi, è stato danneggiato», ha spiegato il direttore dell’Aiea, aggiungendo che non ci sono danni visibili ai contenitori di combustibile nucleare esaurito o al perimetro di protezione dell’impianto.

EPPURE, SEMPRE IERI, la Russia ha richiesto una riunione straordinaria del Consiglio di sicurezza dell’Onu proprio a proposito dell’impianto in questione. Dmitry Polyansky, inviato russo alle Nazioni unite, ha depositato la comunicazione, partita dal Cremlino, al fine di discutere con gli altri Stati membri dei rischi derivanti (secondo la versione di Mosca) dai bombardamenti ucraini alle strutture della centrale.

Tuttavia, la presunta spinta a condividere le proprie preoccupazioni su Zaporizhzhia espressa ieri non trova riscontro nella mossa russa del giorno precedente, ovvero la sospensione unilaterale del nuovo Trattato per la riduzione delle armi strategiche (in inglese indicato con l’acronimo Start).

L’accordo, firmato nel 2010 e valido, sulla carta, fino al 2026, prevedeva 18 ispezioni in loco all’anno per gli arsenali nucleari di Usa e Russia.

Martedì, adducendo motivazioni poco plausibili come le norme sanitarie anti-Covid, Mosca ha deciso che d’ora in poi gli ispettori americani non potranno più accedere ai suoi depositi strategici. Per il momento a Washington sono occupati con l’ex presidente Trump, ma la risposta a una mossa così radicale non tarderà ad arrivare.

DIVERSE LE MOTIVAZIONI che hanno fatto crescere la tensione intorno alla centrale di Energodar nelle ultime settimane. Innanzitutto, si tratta della centrale con la più alta produzione energetica d’Europa e uno dei 10 impianti più grandi del mondo.

La sua costruzione risale all’epoca sovietica ma l’ultimo dei sei reattori nucleari è stato aggiunto nel 1995, portando la capacità totale di produzione dell’impianto a 5.700 megawatt.

Prima dell’invasione russa, l’impianto produceva circa la metà dell’elettricità generata dal nucleare in Ucraina, ma dopo l’occupazione di inizio marzo sono stati mantenuti in funzione solo tre reattori. Finora gli occupanti hanno mantenuto ai propri posti i tecnici ucraini e la centrale ha continuato a fornire elettricità alle aree dell’Ucraina controllate da Kiev.

TUTTAVIA, negli ultimi giorni, il Cremlino ha accusato con sempre maggiore insistenza la controparte di aver bombardato la zona, mentre Kiev sostiene che l’esercito russo usa il sito come scudo e deposito «sicuro» per il proprio arsenale dislocato nella regione.

L’aspetto dirimente, oltre ala sicurezza di milioni di persone, al momento sembra essere quello della fornitura elettrica. I russi potrebbero tentare di dirottare le forniture verso i territori occupati o direttamente oltre confine e questo per l’Ucraina potrebbe rappresentare a tutti gli effetti un disastro.