Un comico è un buffone, è colui che dice l’indicibile, che per mestiere è scorretto. Se anche lui deve rispettare il balletto delle cortesie, se si deve censurare per non offendere, allora non è più un comico. Certo, ci sono tanti modi di lanciare le frecciate, si può usare lo stiletto o l’accetta, ma quando si pretende dal comico il politicamente corretto, gli si chiede di non fare più il suo mestiere. Checco Zalone, con la favola su una trans, raccontata e cantata a Sanremo, è stato criticato da molti, indignati per gli stereotipi con cui l’ha narrata. Zalone ha chiamato la trans Oreste (mentre se è una transizione da maschio a femmina si dovrebbe usare un nome femminile), le ha dato origini brasiliane (ce ne sono ovunque, compresa l’Italia), ha un numero di scarpe da uomo (48), un mestiere avvilente (si prostituisce), precipitandola così in un immaginario vecchio, in uno stereotipo, appunto. Diciamo che ha usato più l’accetta dello stiletto. Oreste, nella scenetta di Zalone, va alla festa organizzata da un re omofobo e lì il principe, figlio del re omofobo, si innamora di lei, ma il re si oppone, tranne poi scoprire che la sera è uno dei clienti di Oreste.
Il pubblico ride, e molti della comunità Lgbtq si sono offesi dicendo che Zalone ha messo in ridicolo la trans, e che quindi il pubblico ha riso di lei, non del re ipocrita.

IO NON SO perché ridono gli altri, posso solo dire perché rido io, e io non ho riso di Oreste, ho riso amaro per la verità che Zalone ha sottolineato, ovvero l’ipocrisia dei sepolcri imbiancati, di quel mondo che di giorno fa la morale, mentre di notte si accompagna, di nascosto, con chi evita accuratamente di frequentare alla luce del sole.
Certo, non tutte le trans si prostituiscono, così come non tutte le donne si prostituiscono, ma la prostituzione esiste e per molte trans è ancora l’unico mestiere possibile. A meno che vogliamo credere che una trans oggi possa tranquillamente presentarsi a un colloquio di lavoro e aspettarsi di essere presa in considerazione solo per le sue caratteristiche professionali. Temo che non avvenga di frequente, e sarei felice di essere smentita.
È giusto che accada? No. E la prostituzione è un mestiere come un altro? No, è un banchetto ignobile di corpi a pagamento, è una condizione che crea uno stigma sociale pesantissimo e, guarda caso, risponde a una domanda di mercato solo maschile. Zalone, parlando del re che fa l’omofobo di giorno e il cliente di trans la sera, mette il dito in una piaga sociale che è anche culturale, ed è diffusa.
Alessia Nobile, 43enne laureata in Scienze Sociali, trans pugliese che proprio in questi giorni ha presentato a Sanremo il suo La bambina invisibile” (Castelvecchi Editore) lo ha detto chiaro: «Sono una sex worker, e lo dico con amarezza, perché avrei la voglia e le competenze per svolgere un altro lavoro. Mando il curriculum, partecipo ai colloqui, ma non vengo mai richiamata». Un’ultima cosa. Conosco trans che portano il 46, e non cercano di spacciarlo per un 41.