«Un indebolimento dello Stato Islamico rinforza il rischio di attentati nel mondo – ha recentemente dichiarato in un’intervista televisiva Jean Pierre Filiu, esperto di questioni mediorientali all’Università SciencesPO di Parigi – si combatte l’Isis sul campo di battaglia ma resiste quello virtuale su Internet: un’organizzazione che recluta, ispira e sostiene gli attentati e che è difficile da contrastare».

Daesh sta perdendo terreno, questo è indiscutibile.

Il suo territorio si è ridotto del 70% nell’ultimo anno: le due principali capitali, Mosul e Raqqa, sono cadute. Gli stessi introiti legati al contrabbando di petrolio sono calati in questi ultimi anni da 1,5 milioni fino a quasi 150mila dollari al giorno.

«Possiamo affermare che le perdite di territorio stanno indebolendo lo Stato Islamico da un punto di vista economico, logistico e militare, non si può dire la stessa cosa però per la sua vera forza, che rimane la propaganda e la diffusione dell’ideologia jihadista sul web», così dichiarano le principali agenzie di stampa occidentali.

La minaccia jihadista legata al cyber-terrorismo è, in effetti, una delle maggiori preoccupazioni delle intelligence di tutta Europa: a tal punto che Francia, Gran Bretagna e Italia hanno recentemente redatto un documento segreto legato alla lotta alla radicalizzazione ed alla propaganda in rete per armonizzare il controllo del web.

New York, Marsiglia ed Edmonton ne sono l’ultimo esempio. Il pericolo legato al web rimane sia per il reclutamento di nuovi jihadisti ma soprattutto per l’influenza di ogni singolo aspirante «martire».

Altrettanto pericolosi sono i diversi «tutorial», video o spiegazioni, creati per la produzione di ordigni esplosivi artigianali (Barcellona e Londra), per la preparazione di attacchi con camion o furgoni o all’arma bianca.

L’ultimo rapporto, in Francia, dell’Unità Coordinamento Lotta Antiterrorismo (Uclat) del 1 giugno scorso riporta che i francesi «radicalizzati» sono oltre 15mila, nel 95% dei casi convertiti attraverso il web, stesse percentuali per quelli belgi, tedeschi e svedesi.

Daesh è presente su internet: utilizza i social network per arruolare, comunica attraverso app di ultima generazione e ha tra le sue fila numerosi hackers ed esperti d’informatica.

Negli ultimi due anni, mentre si combatteva per la conquista di Mosul e Raqqa, l’Isis ha cominciato a cambiare strategia, sfruttando il web per iniziare la sua campagna terroristica «low cost» in Europa. «La rivendicazione di ogni attentato non implica quasi mai – secondo Rita Katz, direttrice di Site – un legame diretto a livello organizzativo ma un’influenza ideologica sul singolo “martire” che giura fedeltà ed ha una cassa di risonanza devastante nei paesi colpiti a causa dei mass-media».

Non avere più un territorio definito non sta impedendo, comunque, allo Stato Islamico di muoversi e riorganizzarsi verso territori decentrati come Afghanistan o Cecenia, il sud-est asiatico (Malesia, Indonesia e Filippine) e il continente africano (Nigeria e Libia).

Secondo l’Fsb russo un grande numero di jihadisti si starebbe spostando verso l’area del sud- est asiatico e verso l’Afghanistan, visto che, secondo numerosi indicatori, il livello di minaccia sta aumentando in quelle aree e la minaccia globale da parte di Daesh «sta cambiando e assumendo nuove forme».

Lo Stato Islamico, secondo l’Institute for Policy and Conflict (Ipac), sta spostando parte dei suoi capitali finanziari facendo investimenti verso l’occidente (Usa, Europa) o utilizzando i bit coin, la moneta virtuale facile da utilizzare, ma difficile da contrastare.

«Il fatto di non avere una strategia unitaria di contrasto – conclude Filiu – provoca questa situazione di vantaggio per l’organizzazione terroristica visto che Daesh agisce su scala mondiale, mentre i paesi occidentali non hanno nessun tipo di disegno politico di contrasto, se non quello militare».