La «nuova Bakhmut» la chiamano i militari ucraini. Vovchansk è già entrata nell’epica del conflitto, ultima di una serie di battaglie campali che hanno caratterizzato l’evoluzione degli scontri armati. Entrare dovrebbe essere impossibile, «si combatte casa per casa» affermano i portavoce dell’esercito di Kiev. «Abbiamo conquistato nuove posizioni» ribattono quotidianamente i russi.

Le foto di Vovchansk sono usate dal presidente Zelensky e dai suoi ministri come esempio della barbarie russa per chiedere più armi e supporto all’Occidente. Una distesa di case abbattute e palazzi diroccati tra campi carbonizzati e scheletri di mezzi di ogni genere. Grigio e nero dominano come se al confine tra Ucraina e Russia non ci fosse spazio per nient’altro in questo momento.

I VERTICI di Kiev sanno che una ritirata qui comprometterebbe ancora di più l’umore degli uomini al fronte, già distrutti da mesi di dure battaglie. Senza contare i rischi per la tenuta della coalizione pro-ucraina che da qualche tempo è tornata ad alzare la voce su armi, caccia e soldati. Sembra che le sorti di questa fase del conflitto siano legate a Vovchansk come in precedenza lo erano state a Mariupol, a Bakhmut, ad Avdiivka. Ma noi, che in quei luoghi ci siamo stati quando resistevano e quando stavano per cadere ieri abbiamo tentato di delineare un quadro un po’ più chiaro del contesto intorno alla piccola cittadina di confine. Partiamo dalla posizione geografica: Vochansk è un centro al quale si accede da una sola strada degna di tale nome, oltre a questa ci sono innumerevoli stradoni di campagna e sentieri sterrati che solcano i campi coltivati della zona in lungo e in largo. Dentro Vovchansk c’è una lunga discesa che portava a una sbarra e quello era il confine con la Russia prima della guerra. Da qui la Legione «Libertà per la Russia», il Corpo dei volontari russi e il Battaglione Siberiano partivano per le azioni nel territorio della regione russa di Belgorod. Quando ci eravamo stati, a metà del 2023, su quella discesa c’erano due militari ucraini che sonnecchiavano all’ombra e che ridacchiavano se gli chiedevi dei gruppi di russi anti-putiniani che passavano di lì. Secondo alcuni sarebbe anche per mettere in sicurezza Belgorod che i russi hanno iniziato una nuova offensiva nel nord-est.

LA MEZZALUNA a sud di Vovchansk è uno dei luoghi di maggiore attività per i soldati ucraini in queste settimane. Incontriamo Vova, comandante di un’unità di supporto, che dirige 5 postazioni lungo una linea di 20 km. Sono delle casette di legno nei boschi, qualche mortaio e dei mezzi ben mimetizzati. Puntano tutte verso Vovhchansk come le centinaia di postazioni di tiro che superiamo per tutto il pomeriggio. Vova non torna a casa da 5 mesi e la sua rotazione è venire qui nei boschi. «Stiamo qui una settimana, a volte due, e poi torniamo in prima linea».

Anche Vova è al corrente che il nostro governo per ora ha detto no agli attacchi sul suolo russo con le armi occidentali e ce ne chiede conto. Prima di salutarci chiede di fare una colletta per la sua unità: «Il governo ucraino ci fornisce attrezzatura di livello… – si vede che cerca un eufemismo – standard. I soldati si comprano le cose con i loro soldi, ora per esempio avremmo bisogno di pick-up per montare le mitragliatrici pesanti». Prima che chieda soldi anche a noi lo salutiamo. Da lontano un soldato con il taglio da cosacco (capelli rasati e codino che parte dalla nuca verso la fronte) si affaccia. «Hi» diciamo in inglese, «Hi Hitler» risponde lui e inizia a sbellicarsi. Lo superiamo con l’auto che ancora ride e quando capisce che siamo italiani anche lui canticchia Lasciatemi cantare.

Due ore, dopo interminabili buche e saliscendi, sbuchiamo oltre Bugaivka, dove qualche giorno fa un soldato ci aveva intimato di fare dietrofront. Non c’è nessuno. Non si sentono colpi né in entrata né in uscita e le alte file di pini ai lati della strada, ora asfaltata, fumano per gli incendi appiccati nel sottobosco dai soldati. Tutto intorno ci sono postazioni quasi invisibili di soldati, si ha la spiacevole sensazione di essere osservati a ogni metro. Ora ci fermano, pensiamo. E invece non ci ferma nessuno, fino alle porte di Vovchansk, quando, con un tempismo quasi teatrale inizia il fuoco. Mortai, una salva di Grad, e forse qualche obice. Nulla di terribile.

AL RETTILINEO di Vovchansk, quando il gps segna l’ingresso nel centro urbano, giriamo il volante e torniamo verso Bugaivka. Nessuna aria di ritirata imminente. Niente ambulanze militari che sfrecciano in continuazione e, soprattutto, l’impressione che ogni centimetro di bosco sia una trappola pronta ad accogliere i russi se dovessero sfondare. Poco più a sud, centinaia di tunnel, trincee preparate nel giro di pochi giorni e molte altre fortificazioni in preparazione. L’impressione generale, almeno per ora, è che non siamo affatto alla vigilia della ritirata. Le posizioni sono ordinate e la macchina organizzativa si muove con raziocinio. In altri termini: Vochansk per ora non sta per capitolare.