La ministra del lavoro Nunzia Catalfo ha firmato con il vicepresidente del governo spagnolo, ministro dei diritti sociali e segretario di Podemos Pablo Iglesias, e con la ministra portoghese del lavoro Ana Mendes Godinho un appello all’Unione Europea per un «sistema comune di reddito minimo garantito che permetta di combattere la povertà e l’esclusione sociale in una prospettiva ambiziosa ed integrata».

Non si tratta di un reddito di base incondizionato, definito in base a un diritto di esistenza universale e come remunerazione del plusvalore sottratto alla forza lavoro, ma un sussidio vincolato a una politica neoliberale di «reinserimento nel mondo del lavoro».

Un lavoro che, a causa di questa crisi, ci sarà sempre di meno e sarà ancora più precario.

Uno schema già esistente in Europa o in Italia con il cosiddetto «reddito di cittadinanza» che esclude i cittadini extra-comunitari residenti da meno di 10 anni.

Visto che parla uno splendido italiano, prodotto da antiche frequentazioni, e da buoni libri, a Pablo Iglesias consigliamo di leggere l’archivio degli articoli dedicati in questi tre anni al tema su questo giornale.

Pensare che l’eredità di Tony Blair, di Margaret Thatcher e delle politiche neoliberali sia “morta e sepolta”, come ha detto Iglesias al Financial Times, dovrebbe consigliare maggiore prudenza: se questa eredità è passata, allora perché chiedere all’Europa di generalizzare proprio uno dei suoi principali strumenti? Ovvero: l’attivazione su un mercato del lavoro devastato di persone che percepiscono un sussidio decrescente e sottostimato?

Tutti Daniel Blake nella pandemia, Pablo?

Probabilmente no, per questo è necessario capire che cos’è un “reddito minimo garantito” al quale, sempre nell’intervista al Financial Times, è stato dato il ruolo di introdurre nelle confuse, macchinose e insufficienti iniziative europee un orizzonte sociale che può salvare l’Unione Europea dal baratro.

Ciò che rende singolare, e sfortunato, questo appello è il fatto che giunge nel momento in cui in Italia si vuole istituire con il «decreto rilancio» da 55 miliardi di euro una misura comunque opposta al pur equivoco «reddito minimo garantito» auspicato in Europa.

Si tratta di un cosiddetto «reddito di emergenza» da 400 a 800 euro mensili per tre mensili a 1 milione di famiglie escluse dalla pioggia di bonus categoriali già previsti. Poi torneranno nell’invisibilità.

Considerata la fantasia burocratica di chi va al governo, tesa sempre a rendere un inferno la vita degli esclusi senza tutele né diritti. questo «reddito minimo garantito» potrebbe essere un’altra misura che si aggiunge alla giungla di sussidi, bonus, indennizzi, casse integrazioni per macro e micro-categorie.

Ipotesi da non escludere, in un momento in cui si assiste a una proliferazione di “redditi” variamente aggettivati che sono lo specchio dell’individualizzazione della condizione di esclusione di chi resta solo e viene etichettato secondo i bisogni idealizzati dalla teoria o dalla divisione del lavoro nella cittadinanza virale che si sta creando nella pandemia e nella crisi sanitaria e politica.

Ma potrebbe essere, questo «reddito minimo garantito» chiesto all’Europa, anche una misura unificante, al di là dei ruoli, delle mansioni produttive e delle nazionalità che semplifica le norme esistenti, immediatamente accessibile per i residenti in Europa, perlomeno a coloro che sopravvivono al di sotto della soglia di povertà.

Questo, del resto, è lo spirito di coloro che si battono per un “reddito minimo garantito” e incondizionato, cioè del tutto svincolato da quella macchina dei ricatti che può diventare il “workfare”, per di più in un’epoca di recessione devastante, mai vista prima nella storia contemporanea dell’economia capitalista.

Questioni che dovrebbero essere note, perlomeno a Iglesias che ha frequentato le culture che si battono per questo reddito. Ad occhio, lui stesso potrebbe essere l’espressione di queste culture politiche.

Sarebbe auspicabile un rovesciamento delle priorità, alla luce di una rinnovata coscienza della concreta politica sociale che i governi europei, a cominciare da quello italiano, hanno adottato nei primi mesi della crisi.

Invece di rivolgere appelli all’Unione Europea, che finiranno negli antri oscuri degli sherpa e saranno tradotti nell’interesse delle imprese, si potrebbe invece partire dal basso, dalle concretissime esigenze di chi sta già in un inferno: istituire un reddito minimo garantito, senza condizioni, nel proprio paese. E poi chiederlo di estenderlo in Europa. Le due cose non si escludono e potrebbero essere contemporanee

Iglesias potrebbe farlo in Spagna, dando l’esempio al governo italiano che non ne vuole sapere.

Lo faranno nel prossimo appello.