«Risulta evidente la complicità e l’articolazione con cui i governi europei e il potere corporativo – legale ed illegale – agiscono lungo le frontiere per alimentare e incrementare i guadagni milionari che scaturiscono dal controllare le persone migranti». Con queste pesanti parole di accusa si apre l’introduzione del rapporto «Vida en la necrofrontera», redatto e presentato da Caminando Fronteras il 25 giugno a Madrid. Il Collettivo, che dal 2002 effettua un lavoro di sensibilizzazione e denuncia rispetto alle condizioni dei migranti in transito lungo la frontiera occidentale del Mediterraneo, mette in luce nelle 100 pagine del rapporto «come un’industria che si alimenta di violenza e di morte tragga beneficio dal vigilare, detenere, incarcerare e deportare, trafficare e schiavizzare coloro che cercano di attraversare le frontiere».

In Marocco, ultimo Paese di transito nella rotta occidentale ed attore privilegiato nel dialogo con l’Ue per la gestione della frontiera occidentale del Mediterraneo, «la violazione dei diritti umani avviene sotto diverse forme: arresti e detenzioni senza mandati giudiziari, racial profiling, fermi amministrativi che oltrepassano il limite legale, deportazioni forzate verso le frontiere sud del Paese, rimpatri forzati anche nei confronti di minori e donne incinte, violenze fisiche e restrizione di circolazione nelle zone frontaliere», denuncia Caminando Fronteras.

Nel 2018, 89 mila persone che tentavano il passaggio in Europa sono state arrestate dalle forze armate marocchine. Di queste, 30 mila sono state fermate in mare, a fronte delle 57.498 che, stando ai dati del ministero dell’Interno spagnolo, sono invece riuscite a giungere in Spagna attraversando il Mare di Alboran o lo stretto di Gibilterra. «Gli arresti sono stati per il governo di Rabat il mezzo per giustificare di fronte all’Europa lo sforzo effettuato per controllare la frontiera, mentre le autorità spagnole classificavano la situazione come la più grande ondata migratoria registrata sulle coste spagnole», si legge nel rapporto secondo il quale «questi numeri sono stati utilizzati esclusivamente per alimentare discorsi razzisti e xenofobi».

A questi dati si aggiungono le cifre delle persone morte o disperse in mare. Per Caminando Fronteras, «questa perdita di vite non è servita allo Stato per portare avanti pratiche di sensibilizzazione ed esercizio della memoria. Al contrario, le morti sono state utilizzate per domandare all’Unione Europea più fondi per il controllo delle frontiere».

Nel primo quadrimestre del 2019 sono stati già 70 i naufragi e 12 le imbarcazioni scomparse lungo le tre rotte marittime che costituiscono quella che in Spagna viene chiamata «frontiera sur»: la rotta delle Canarie, quella dello Stretto e quella di Alboran. Il bilancio è pesante: sono infatti 204 i morti accertati in mare e 816 invece le persone disperse.

La gestione di questi corpi, da quanto emerge parlando con Boubacar Diallo, operatore sociale che nella città di Nador si occupa tra le altre cose dell’identificazione per procura dei corpi dei migranti morti in mare, lo è ancora di più. «Le forze dell’ordine tendono spesso a voler accelerare il più possibile le procedure di sepoltura, mettendo quindi in difficoltà le famiglie che intendono attuare le procedure di rimpatrio della salma», dichiara Diallo. La procedura di rimpatrio, che arriva a costare fino a 4500 euro, e le strette tempistiche mettono la maggior parte delle famiglie coinvolte nell’impossibilità di accedere a questo servizio. Per tutti loro, sono le associazioni di migranti o le comunità presenti sul territorio che, attraverso sistemi di quotizzazione, permettono di coprire le spese di sepoltura, mettendo ancora una volta in luce il disinteresse dello Stato marocchino rispetto a tale emergenza.