Amici da una vita, avevano in comune oltre al gusto per le eccentricità una strabordante memoria russo-bizantina pullulante di eccessi decorativi e colori sgargianti. Lei (Suzie Frankfurt) la proiettava nel suo lavoro di decoratrice e arredatrice d’interni dalla vena «nostalgico-romantica» (tra i suoi clienti figuravano personaggi come Robert Redford e Robert Mapplethorpe); lui (Andy Warhol) la custodiva anche nel ricordo della ritualità delle uova decorate (Pysensky) che sua madre era solita dipingere, secondo la tradizione russo-ortodossa (era nata in Cecoslovacchia ma la famiglia era di origine rutena), in occasione della Pasqua.

Quest’anima comune sapeva convivere con un’ironia raffinata che li portò a realizzare a quattro mani un ricettario decisamente fuori da comune. Wild Raspberries (ovvero «lamponi selvaggi») che celerebbe, nel titolo, una citazione bergmaniana (dichiarata dalla stessa Frankfurt nella prefazione dell’edizione pubblicata nel 1997 da A Bulfinch Press Book – Little, Brown and Company). In effetti, Il posto delle fragole (Wild Strawberries) uscì nelle sale nel 1957, due anni prima del libro, ma a parte certe sostanze antiossidanti di cui sono ricchi entrambi i frutti, risulta arduo approfondire l’ipotetica relazione. A ogni modo, Wild Raspberries è prima di tutto un’opera d’arte e le «ricette» contenute – mette in guardia l’editore – non sono commestibili, ma vanno lette con lo spirito umoristico con cui furono inventate.

DA LOS ANGELES, dove era nata nel 1931 (a Malibu era vicina di casa di Myrna Loy, diva del cinema hollywodiano degli anni Trenta, motivo per cui Andy Warhol sarebbe rimasto particolarmente affascinato da lei, oltre che per una comune passione nel collezionare gioielli antichi), Suzie – dopo la laurea alla Stanford University – si trasferì a New York per lavorare nella potentissima agenzia pubblicitaria Young & Rubicam, dove conobbe il marito Stephen Frankfurt, allora art director. Lasciò il lavoro pubblicitario per fare la moglie e la mamma e dedicarsi con successo alla professione di arredatrice (prima che gin e Valium raggiungessero la pole position) in cui spiccò, come vediamo dalle pagine che le dedicarono riviste come Architectural Digest, con quel suo gusto tradizionale tanto amato dai clienti dell’Upper East Side.

Si spense il 7 gennaio 2005 alla Hebrew Home for the Aged at Riverdale, New York. Quanto all’amicizia con Andy Warhol (Pittsburgh 1928 – New York 1987) fu sancita da un pranzo nel quartier generale della raffinatezza e del lusso newyorkese, il Palm Court al Plaza Hotel. Fu lei a invitare l’artista di cui aveva ammirato, nella primavera di quell’anno (1959), «magici acquarelli di fiori e farfalle», esposti occasionalmente nelle sale di una rinomata gelateria di Manhattan (Serendipity).

«Non avevo mai sentito parlare di lui, ma rimasi ipnotizzata dal suo lavoro». Seguì un primo appuntamento, organizzato dal marito Stephen: «Salii a piedi le scale dell’appartamento al quarto piano, in cui Andy viveva con la mamma Julia Warhola». Un incontro in cui percepì all’istante che sarebbero diventati amici inseparabili. In effetti, nei diari di Warhol il nome di Suzie Frankfurt compare almeno 34 volte, spesso associato alla data del suo compleanno (21 agosto) e il viso della donna da lui più volte fotografato e serigrafato.

DI SOLITO PRANZAVANO insieme e andavano a fare shopping. Una sera Andy fu invitato a cena a casa Frankfurt e portò all’amica una rosa vermeil di Tiffany che lei mise in una bottiglia di Coca-cola. «A lui piacque molto. È stato allora che decidemmo di scrivere un libro di cucina, una sorta di critica ai complicati libri francesi di arte culinaria così in voga negli anni Cinquanta».
Lavorarono per tutto il mese di settembre e ancora a ottobre, quando fu realizzata la prima copia. Le ricette, quanto mai gustosamente surreali e infarcite di prelibate citazioni (nonché intenzionali errori d’ortografia) furono scritte da Suzie: Torte a la Dobosch, Gefüllte of Fighting Fish, A+P Surprise (che prevede, ad esempio, l’utilizzo di un pan di spagna vecchio di due giorni), Hard boiled eggs, Waterzoie for Cecil Beaton, Omelet Greta Garbo (da mangiare sempre da soli al lume di candela) e così via. Il libro è un misto di saggezza sulla cucina ordinaria, condito con una succulenta e paradossale creatività (è la stessa autrice a definirlo «a little dippy», un po’ svitato), rispecchiata in toto nei disegni realizzati dal maestro della Pop art (18 litografie che, nella versione originale, sono in parte colorate a mano) con quello stesso segno veloce, incisivo e un po’ ingenuo che ritroviamo in altri soggetti come scarpe, cappelli, torte, gelati…

ELEMENTO non di poco conto nella riuscita di Wild Raspberries è, poi, la calligrafia di Mrs. Warhola che tanta influenza ebbe sul figlio (era anche una brava illustratrice con una certa propensione per angeli e gatti), con cui sono trascritte le ricette. Una scrittura dal ritmo sincopato che le valse diversi riconoscimenti, tra cui quello dell’American Institute for Graphic Arts per la copertina dell’album musicale The Story of Moondog (1958). A colorare i disegni, infine, ci pensarono gli studenti. Insomma la realizzazione di Wild Raspberries fu «il primo modello di un metodo che Andy perfezionò più tardi alla Factory», come scrive nella prefazione Jaime Frankfurt, il figlio di Suzie che ebbe l’opportunità di fare le sue prime esperienze lavorative proprio alla Factory. «Come un grande chef, avrebbe realizzato la creazione e poi diretto una catena di montaggio di assistenti».
È noto che l’artista che conferì identità alla lattina della Campbell’s soup, esemplare oggetto di consumo di massa (non meno della bevanda inventata nel 1886 dal farmacista statunitense John Stith Pemberton e alla banana che compare sul mitico album dei Velvet Underground & Nico) non avesse interesse per la cucina in sé. Di solito, come ricorda ancora Jaime Frankfurt, per i pranzi alla Factory – proprio come nella ricetta del Piglet (porcellino) o per le foglie di vino marinate (poi confuse con quelle d’edera) – bastava fare una telefonata a Balducci, celebre catena di gastronomia italiana, oppure a Trader Vic’s o Wadley & Smythe. Ma l’idea di questo stravagante ricettario lo stuzzicò molto.

L’IMPRESA RISULTÒ più che mai impegnativa e, alla fine, furono realizzate 34 copie a colori, mentre le altre contenevano solo cinque illustrazioni a colori. Non solo autori, la coppia Warhol-Frankfurt si cimentò anche nella veste di editori, scontrandosi con le difficoltà oggettive della distribuzione. «Ci trascinammo una shopping bag piena di questi capolavori, convinti che le librerie di New York ci avrebbero fatto degli ordini. Che delusione. Non li comprò nessuno, ma ne lasciammo qualcuno a Doubleday e Rizzoli per la spedizione e altri furono dati agli amici, perché servissero come regali di Natale. Oh, è stato un progetto divertente – scrive Suzie – che ha cementato per sempre l’amicizia con Andy». Come per un formaggio stagionato o un vino che è stato fatto decantare, oggi Wild Raspberries (nella versione originale del ’59) vale una fortuna. Una copia è stata battuta da Christie’s, nel 2012, per 30mila dollari.
Sfogliare la versione più accessibile (pubblicata nel 1997) non è meno entusiasmante. Tra dolci e salati non sfugge la ricetta dell’iguana arrosto. Dato che non è possibile trovarne sul mercato americano – semmai nei gourmet shops delle isole Galapagos, suggerisce l’autrice con disinvolta praticità, è superfluo fornire la ricetta della sua preparazione. Ecco, allora, che entra in gioco quel pizzico di fantasia, ingrediente irrinunciabile di qualsiasi ricetta.