«È sbagliato in questa fase in cui sono tornati i numeri positivi puntare sugli incentivi alle assunzioni. Renzi ha sprecato risorse per tre anni, e adesso rischia di farlo anche Gentiloni. In Europa, come in Italia, è il momento di investire: servono politiche espansive, non alla Tatcher ma alla Lord Keynes». L’ex ministro delle Finanze, Vincenzo Visco, torna a dire la sua all’indomani del discorso del presidente della Commissione Juncker alla Ue: investimenti, infrastrutture, unione bancaria, eurobonds, lotta all’evasione fiscale. Le nuove ricette saranno contenute nel suo prossimo libro, in uscita in ottobre per i tipi della Bocconi, «Colpevoli evasioni».

Non crede che i dati indichino prospettive migliori per l’economia? Jean-Claude Juncker ha spiegato che «il vento è tornato nelle vele della Ue».

È comprensibile che un uomo politico, di fronte a dati positivi, dica «evviva». Ma la situazione non è rosea. Intendo dire che tutte le condizioni che hanno creato la crisi non sono state rimosse, e oltretutto il quadro internazionale è complicato dalle tensioni tra Usa, Nord Corea, Cina. Non possiamo affermare che il peggio è finalmente alle spalle e il futuro è tranquillo. Per dirla con gli inglesi: so far so good, fin qui tutto bene ma non di più.

Insomma, cautela. Le soluzioni proposte dal presidente Juncker, come quella di un ministro delle Finanze unico per la Ue, sono convincenti?

Mi sembra più una formula retorica, bisognerebbe capire cosa significa. Dal punto di vista dei tedeschi sarebbe un super controllore dei conti pubblici pronto a rompere le scatole a chiunque non segua i loro indirizzi liberisti. Juncker ha anche detto delle cose condivisibili, da vero europeista quale è, per quanto conservatore. Ad esempio sul superamento del diritto di veto su alcune questioni: ma se lo togliamo sul fisco, il Lussemburgo poi smetterà di essere un paradiso fiscale? Il problema sta tutto qui: superare gli egoismi nazionali, il nazionalismo autoreferenziale che finora ha caratterizzato tutti i paesi europei, a partire dalla Germania, per aprire a nuove politiche economiche.

Quali, per esempio?

Politiche espansive. La Germania ha imposto un modello che ha danneggiato prima di tutto i suoi cittadini, creando occupazione con bassi salari come i milioni di mini jobs. Se avessero trainato la crescita europea attraverso gli investimenti, oggi il quadro sarebbe diverso. Il problema è anche di visione culturale, di pezzi della destra come della sinistra: si afferma una visione sovranista, che trovo autolesionista. I tedeschi assorbano il loro surplus con l’estero, spingano a superare il Fiscal compact. Torniamo a una golden rule che permetta gli investimenti, si controlli la spesa corrente e si affronti collettivamente il problema dei debiti. Si proceda con l’unione bancaria. Vedo positivamente l’idea di trasformare il Fondo salvastati in una sorta di Fondo monetario europeo – e banca mondiale, aggiungerei io. Bisognerà capire cosa vuole realizzare Macron: non dovrà essere succube di Merkel come era stato Sarkozy.

Gli eurobonds come li vede?

Bene, certo. C’è una mia vecchia proposta a proposito, di 5-6 anni fa, che nello stesso periodo fu adottata dai Saggi tedeschi. Oggi in campo c’è un modello molto interessante elaborato da Marcello Minenna.

Indicazioni che dovrebbe seguire anche Paolo Gentiloni?

Senza dubbio, ma non si è capito che in questa fase manca la domanda, mentre tutti si ingegnano sull’offerta, come se fossimo fermi a 20 anni fa. Investimenti, opere pubbliche, infrastrutture. Per l’Europa c’era anche il piano Delors, del tutto disatteso. Ritengo la politica degli incentivi alle assunzioni messa in campo finora una vera sciocchezza. Negli ultimi tre anni Renzi ha sprecato le risorse, e lo stesso rischia di fare a breve Gentiloni.

Su quali dati basa la sua analisi così critica?

L’ho dimostrato in un rapporto del Nens di un anno fa. Se avessimo usato i margini di flessibilità che la Ue ci ha dato per una politica espansiva, di investimenti, anziché di incentivi alle assunzioni, avremmo avuto un moltiplicatore molto più alto. Poniamo anche soltanto 10 miliardi l’anno: avrebbero reso 15 miliardi in due o tre anni. Avremmo avuto una crescita doppia, disavanzo molto più basso e riduzione del debito. Lo dicono anche Fmi, Banca mondiale e Ocse, ma in Italia si continua a parlare solo di taglio delle tasse.

Una ricetta che i suoi ex compagni del Pd non applicano.

Magari in teoria la condividono pure, almeno alcuni: solo che danno priorità ad altro, e poi devono difendere le politiche degli ultimi tre anni. C’è prima di tutto un problema culturale: anche molti ex comunisti pensano che la crescita si crei con le ricette liberiste. L’economia però non segue Margaret Tatcher, ma Lord Keynes. Io poi segnalerei l’urgenza di tornare a una lotta seria all’evasione fiscale, nodo eluso dagli ultimi due governi: a mantenere il gettito hanno pensato le due misure che avevo indicato, le uniche applicate, e cioè lo split payment e il reverse charge.

Ritiene possibile, viste le basi, formare un governo di centrosinistra dopo le prossime elezioni?

Io vedo questo quadro: intanto ci sarà una manovra piuttosto asettica, poi seguiranno le elezioni. Se ci sarà la possibilità di fare un governo di centrosinistra con il Pd, facciamolo, non c’è problema. Ma mi pare che al momento l’opinione pubblica vada in una diversa direzione.

Rifarebbe il ministro?

Questioni di età a parte, non ne vedo le condizioni politiche. È chiaro che uno che lo ha fatto e ritiene di saperlo fare lo potrebbe pure rifare. Ma ci sono persone a sinistra che potrebbero ricoprire questo ruolo come me, se non meglio. Almeno una persona.

A chi si riferisce?

Penso a Cecilia Guerra (economista e capogruppo Articolo 1 – Mdp al Senato, ndr).