La non-Europa costa. La Ue sta perdendo terreno nei confronti dei grandi competitori, Usa e Asia (Cina in testa). Le previsioni di investimenti per quest’anno sono al 54% negli Usa, al 28% in Asia e solo il 10% in Europa. Nella Ue la domanda resta debole dopo la crisi del Covid, il prezzo dell’energia è più alto che altrove e la guerra in Medioriente minaccia aumenti che colpiranno maggiormente l’Europa, la Cina interviene massicciamente per aiutare la sua industria, gli Usa con l’Ira impongono una svolta protezionista. Le previsioni dell’Fmi annunciano una crescita del 2,4% negli Usa, mentre per la zona euro quest’anno sarà solo lo 0,8%.

L’ECONOMIA DELLA UE resta frammentata, ogni paese segue la propria traiettoria, solo il 17% della piccola e media impresa europea approfitta dei vantaggi del mercato interno, soltanto 3 milioni di europei lavorano in un paese diverso da quello di nascita. Una minore crescita significa meno occupazione, meno risorse per finanziare il modello sociale europeo, che sta perdendo terreno in nome del risanamento dei conti pubblici.

Meno soldi per far fronte alle grandi sfide della transizione climatica e del digitale, che nei prossimi anni richiederà investimenti giganteschi per evitare un impoverimento generale di fronte alla crisi ambientale, che viene scaricata sui lavoratori, con le ovvie conseguenze delle proteste di categoria (come di recente gli agricoltori) e del successo dell’estrema destra, che nega la crisi e promette a tutti di poter mantenere il modo di vita del passato.

Invece, la Ue si lancia nell’economia di guerra, per di più ognuno per sé, chi può spende soldi pubblici per rilanciare l’industria delle armi, togliendo risorse al welfare e fomentando così ancora di più le derive populiste. Eppure, l’Europa è ricca, i suoi cittadini hanno un enorme risparmio, più di 35mila miliardi di euro, di cui almeno 10mila dormono nei conti correnti. Ogni anno, più di 300 miliardi di investimenti transitano dall’Europa agli Usa, in pratica gli europei finanziano la prosperità dei concorrenti, in mancanza di un terreno favorevole locale dovuto agli egoismi nazionali.

IERI, IL CONSIGLIO EUROPEO ha ascoltato le conclusioni di Enrico Letta sul funzionamento del mercato unico, 40 anni dopo Jacques Delors, in attesa del rapporto di Mario Draghi sulla competitività. Ma le conclusioni del vertice sono rimaste nel vago. Il Consiglio dà mandato alla Commissione di permettere alle autorità di supervisione di «valutare» il mercato dei capitali nella Ue. La creazione di un vero mercato dei capitali non è ancora all’ordine del giorno. I paesi che hanno un vivace mercato finanziario (e si sono specializzati nell’ottimizzazione se non evasione fiscale), come Lussemburgo, Olanda, Irlanda, frenano sul mercato dei capitali nella versione promossa dalla Francia – e sostenuta con precauzione dalla Germania – temono che Parigi e Berlino concentrino le risorse.

MOLTI SETTORI PATISCONO la frammentazione, che comporta una moltiplicazione dei costi, servizi peggiori e spreco di risorse. Letta ha fatto l’esempio delle telecom europee, dove ci sono oggi più di cento operatori, con una media di 5 milioni di clienti ognuno, mentre negli Usa ogni operatore ne ha 107 milioni e in Cina 467.

LA DISCUSSIONE SUL MERCATO unico dei capitali è stata lunga. I 27 ne riparleranno al Consiglio di giugno. «Le posizioni di partenza erano divergenti», ha ammesso Emmanuel Macron, che sottolinea che c’è stato almeno un accordo sul «metodo, i principi e il calendario». Ma l’ostacolo dell’armonizzazione fiscale – che significa la fine dei “paradisi” all’interno della Ue – non è stato neppure affrontato (qui ci vuole l’unanimità per dei cambiamenti), Macron sostiene che bisogna prima “«togliere l’ambiguità». L’Italia ha invece tenuto chiusa la sala stampa.

Comunque, al Consiglio, è la guerra in Ucraina che ha occupato le preoccupazioni: Olaf Scholz ha insistito sulla necessità di accelerare la «difesa aerea» di Kyiv, mentre Macron ha dovuto giustificare il fatto che la Francia è oggi il principale importatore di gas russo (la Ue ha diminuito la dipendenza da Mosca dal 40% di prima dell’aggressione dell’Ucraina al 15%, mentre la Francia è passata dal 17% del 2022 al 15%).