La polizia di New Delhi è stata «complice e partecipante attiva» nelle violenze contro la comunità musulmana dello scorso mese di febbraio. Questa la pesante accusa avanzata da Amnesty International India nella mattinata di ieri, supportata da un denso report di 20 pagine disponibile per il download sul proprio portale internet.

I fatti, risalenti a più di sei mesi fa e finiti purtroppo nel dimenticatoio del «pre-covid», necessitano di una rinfrescata.

DALL’INIZIO DEL 2020 in diverse località indiane esplose una protesta dal basso contro l’esecutivo guidato da Narendra Modi, accusato di voler introdurre una serie di norme discriminanti verso la comunità musulmana indiana accorpate nella nuova legge sulla cittadinanza (Citizen Amendment Act, Caa).

Dai collettivi studenteschi ai sit-in pacifici organizzati spontaneamente dalla società civile indiana, la protesta si estendeva in tutto il subcontinente, con al centro l’occupazione di Shaheen Bagh: spiazzo situato a Delhi Est, nei pressi dell’ateneo Jamia Millia Islamia, occupato da centinaia di manifestanti pacifici, soprattutto donne musulmane, e sgomberato a marzo per effetto dell’emergenza Covid.

PIÙ LA PROTESTA si intensificava, più la risposta delle forze dell’ordine si faceva violenta e indiscriminata, con cariche all’interno dei campus universitari e arresti, fino a deflagrare completamente in sei giorni di «riots» nella periferia nord-est della capitale dal 23 al 29 febbraio. Bilancio ufficiale: 53 morti e più di 500 feriti, con decine tra case, negozi e moschee ridotti in cenere dalla furia estremista hindu. Il rapporto di Amnesty, stilato a conclusione di sei mesi di indagini e interviste a sopravvissuti, avvocati, attivisti ed ex poliziotti, ordina la cronologia delle violenze, incoraggiate da una serie di comizi al vetriolo pronunciati da membri del Bharatiya Janata Party (Bjp, partito di Modi).

All’appello di «sparare ai traditori » risposero squadracce organiche alla costellazione dell’estremismo hindu, che per sei giorni misero a ferro e fuoco i quartieri di Delhi nord-est con presenza di musulmani. Secondo Amnesty, lo fecero «aiutati» dalle forze dell’ordine, che si rifiutarono di intervenire pur allertati da centinaia di chiamate in centrale e parteciparono al lancio di pietre contro i civili.

LE NUMEROSE TESTIMONIANZE raccolte da Amnesty raccontano di musulmani arrestati e torturati in carcere, avvocati malmenati mentre cercavano di raggiungere i propri assistiti in stato di fermo, centralini della polizia che alle richieste di aiuto da parte di cittadini musulmani rispondevano «volevate l’azadi? Eccola la vostra azadi!» (azadi, libertà in urdu, celebre slogan della comunità musulmana adottato anche nelle manifestazioni anti-governative di inizio 2020, ndr).

A oggi nessun agente è stato messo sotto indagine e nessun estremista hindu è stato arrestato, a differenza di numerosi tra manifestanti musulmani e attivisti pacifici ancora in carcere. Amnesty, in un comunicato, ha esortato il governo ad aprire un’inchiesta. Il governo, mentre scriviamo, non ha ancora risposto.