Martedì 13 febbraio più di diecimila contadini dello stato indiano del Punjab hanno cercato di raggiungere la capitale New Delhi per protestare contro il governo centrale. Il motto della mobilitazione «Dilli Chalo!», ovvero «andiamo a Delhi!», riprendeva la gigantesca manifestazione che nel 2021 coinvolse decine di migliaia di braccianti provenienti da tutta l’India del Nord.

Riferimento non casuale, poiché i temi della protesta di questo inizio 2024 sono strettamente legati alla lotta vinta dal movimento contadino poco più di due anni fa. Quella manifestazione durata quasi un anno e mezzo era stata lanciata dopo che il governo guidato da Narendra Modi aveva varato un pacchetto di leggi per liberalizzare il settore agricolo nazionale. Per i contadini, le liberalizzazioni avrebbero significato la perdita di gran parte delle tutele guadagnate dai lavoratori del settore fin dagli anni Sessanta. Una su tutte: il «prezzo minimo di vendita», cioè la una soglia minima di ricavo garantita dallo Stato per la vendita di frutta, verdura e cereali ai mercati generali statali.

I manifestanti si accamparono per mesi intorno alla capitale, sfidando il clima rigido dell’inverno nell’India settentrionale, e nel gennaio del 2021 una parte del movimento sfondò le barricate e si scontrò con la polizia di New Delhi proprio il giorno della Festa della Repubblica indiana. La repressione fu durissima: seicento morti, centinaia di arresti, ma alla fine il governo Modi fu costretto a ritirare le «tre leggi nere» dell’agricoltura e a scendere a patti coi braccianti.

Le promesse furono tre: una legge ad hoc sul «prezzo minimo di vendita», risarcimenti per le famiglie delle vittime della protesta e la scarcerazione dei manifestanti. Dopo due anni, il governo non ha ancora mantenuto la parola data, e quindi duecento sigle sindacali dei contadini del Punjab hanno ricominciato la protesta.

Il 10 febbraio una carovana di trattori è partita dal Punjab diretta a New Delhi, ma nel frattempo le autorità dello stato dell’Haryana – che divide il Punjab da New Delhi ed è governato dal Bharatiya Janata Party (Bjp), il partito di Modi – si erano preparate per impedire il passaggio dei manifestanti, di fatto militarizzando le strade che collegano il Punjab alla capitale indiana.

Ieri il corteo dei contadini si è scontrato con le forze dell’ordine dell’Haryana e ha tentato di sfondare le barricate di cemento, filo spinato e chiodi piazzate dalle autorità locali. I canali all news indiani hanno mostrato scontri tra contigenti di polizia in assetto anti sommossa armati di bastoni e lacrimogeni e centinaia di contadini punjabi. Almeno in un caso, per lanciare lacrimogeni contro i manifestanti la polizia ha utilizzato dei droni. Ci sarebbero state alcune decine di feriti.

In serata, i rappresentanti del movimento hanno annunciato un «cessate il fuoco» fino alla mattina del 14 febbraio. Uno dei leader della protesta ha dichiarato alla testata online Scroll.in che i manifestanti vogliono solo poter protestare pacificamente a New Delhi e che sono pronti ad accamparsi ai confini della capitale finché il governo non manterrà le promesse fatte nel 2021.

A pochi mesi dalle elezioni nazionali, questa nuova protesta contadina rappresenta un bel problema per il premier Narendra Modi, dato per favorito a un terzo mandato consecutivo alla guida del Paese. Negli ultimi dieci anni il suo governo è stato costretto solo una volta a fare retromarcia su una misura varata, ed è stato proprio quando si è scontrato col movimento contadino nel 2021. In India un lavoratore su due è impiegato nel settore dell’agricoltura, che rappresenta il 15% del Pil.

Rahul Gandhi – leader del principale partito di opposizione, l’Indian National Congress – con un post online ieri ha promesso che se la sua coalizione vincerà le elezioni la legge a garanzia del «prezzo minimo di vendita» si farà.

Il resto dell’enorme movimento nazionale dei contadini formato nel 2021 per ora non ha aderito a questa protesta, ma ha già annunciato uno sciopero nazionale per il 16 febbraio.