«Ci saremmo aspettati qualcosina di più, i sondaggi ci davano sopra il 2%, ma non siamo andati male», spiega Viola Carofalo. Dopo una campagna elettorale organizzata in soli quattro mesi Pap si è fermata all’1,3%.

Quali indicazioni avete tratto dall’analisi del voto?

Tenuto conto della valanga di consensi intercettati dai 5S, anche in segmenti a noi vicini come i giovani, ne ricaviamo un quadro che non è malvagio. Per esempio a Napoli, dove i pentastellati sono andati oltre il 50%, nei seggi prossimi ai luoghi dove facciamo attività abbiamo ottenuto risultati ottimi. In città abbiamo totalizzato il 2,96% ma, ad esempio, Chiara Capretti nell’uninominale al centro storico ha portato a casa il 3,69%. Nel quartiere Porto siamo al 6,21%, all’Avvocata 5,7%, a San Giuseppe 5,81%, a Bagnoli 4,61%, a Montecalvario 4,39%. Bene nelle zone popolari, male nei quartieri borghesi di Chiaia e Posillipo. Però al Vomero e all’Arenella, dove si è candidato lo storico Giuseppe Aragno, siamo sopra il 4%. Dove ci conoscono siamo stati premiati. Dove non siamo presenti, i mezzi di informazione non ci hanno aiutato a farci conoscere.

Oltre Napoli, com’è andato il voto?

Molto bene a Livorno e Firenze, dove siamo sopra il 3%. Poco sotto il 3 a Bologna e intorno al 2% a Roma. In generale, andiamo meglio nei grandi centri dove c’è un tessuto di attivisti. Siamo in difficoltà nei piccoli centri, dove avremmo dovuto investire fondi che non avevamo per volantinaggi e manifesti. Ma a noi non interessa fare propaganda, quello che vogliamo è attivare le comunità locali. È questa la strada da percorrere nel futuro.

Molti attribuiscono la vittoria dei 5S al Sud alla richiesta di un nuovo assistenzialismo.

Venerdì ero a un dibattito con altri partiti. Alla rappresentante del Pd ho spiegato che non è necessario scomodare gli analisti per scoprire i motivi del crollo dei partiti tradizionali di centrodestra e centrosinistra, basta andare in un pronto soccorso. Al Sud gli elettori hanno utilizzato i 5S come strumento per buttare giù tutto: anche se Luigi Di Maio sta istituzionalizzando il Movimento, per gli elettori sono ancora quelli del Vaffa Day. Non li hanno votati per il programma ma per rabbia, non è una scelta di campo ma un comune sentire. Pap non è riuscita a intercettare questo elettorato, spiegando loro che avevamo una proposta politica strutturata. In molti ci hanno detto che avrebbero voluto votarci ma i 5S avevano la possibilità di mandare tutti gli altri a casa. Attenzione, però, perché i voti ai grillini sono in prestito e quindi contendibili.

Il voto mostra un’Italia spaccata in due, con il Nord alla Lega. È possibile riunire il paese su un programma comune?

Il Mezzogiorno, con la crisi innescata nel 2007, ha subito un massacro che arrivava su un massacro precedente. Al Nord invece la crisi è stata uno choc: il fallimento delle piccole imprese ha fatto crescere il numero di persone costrette ad accettare lavori con paghe basse, più lontano da casa e con meno diritti. Hanno subito effetti minori, rispetto alle popolazioni del Sud, ma sono ugualmente arrabbiati. Sul lavoro si può costruire un percorso comune per le due Italie. Dopo aver cancellato temi come l’equità sociale e l’antirazzismo, la sinistra istituzionale è ridotta a una tabula rasa. È necessario ripartire dalle comunità, così rinasce anche la coscienza politica.

In primavera ci saranno le amministrative e poi nel 2019 le Europee. Cosa farà Pap?

I territori che vorranno partecipare alle amministrative saranno in campo, rispettando il metodo di lavoro che ci siamo dati per le politiche. Per le Europee, osserviamo cosa succede a sinistra. Non abbiamo partecipato all’incontro con Varoufakis, Hamon e il sindaco Luigi de Magistris. Abbiamo invece ospitato all’Ex Opg Mélenchon. Decideremo quando il quadro sarà più chiaro.