La parola d’ordine era chiara: Calles con sangre, Viña sin festival, strade insanguinate a causa della repressione delle forze di sicurezza; Viña del Mar, uno dei principali centri turistici del Cile, senza il suo Festival della canzone. Ma se non hanno potuto ottenere la cancellazione della celebre rassegna internazionale, i manifestanti hanno fatto di più: sono riusciti a trasformarla nell’ennesimo atto di protesta contro il governo.

LE MANIFESTAZIONI sono iniziate già prima dell’apertura, in particolare contro l’hotel O’Higgins che ospita alcuni dei protagonisti dell’evento musicale, e sono state represse puntualmente dai carabineros con una pioggia di gas lacrimogeni. Ma, soprattutto, la contestazione è penetrata all’interno dello stesso teatro di Quinta Vergara in cui si svolge il Festival. Né sono bastati a nasconderla i disperati tentativi di censura messi in atto dalla televisione o divieti come quello di portare dentro il teatro striscioni o cartelli: non solo le scritte contro il presidente sono apparse in maniera chiara ma è anche risuonato tra il pubblico lo stesso coro che accompagna ormai tutti gli eventi pubblici del paese: Piñera assassino come Pinochet.

Sono stati poi gli stessi artisti a dare voce alla rivolta sociale. E fin dal primo giorno, quando il comico Stefan Kramer ha preso di mira il presidente con le sue imitazioni e Ricky Martin ha esplicitamente espresso tutto il suo appoggio ai manifestanti: «Che i cileni si esprimano, che esigano l’essenziale: i diritti umani. Sono con te, Cile», ha dichiarato il cantante, auspicando che quanto sta avvenendo nel paese abbia «un effetto domino in ogni parte del mondo».

MA LE VERE PROTAGONISTE, nel secondo giorno della rassegna, sono state le artiste, trasformate in portavoce delle rivendicazioni storiche del movimento femminista – a cominciare da quelle dell’aborto legale, sicuro e gratuito e della parità salariale -, delle denunce sulle violazioni dei diritti umani da parte del governo e delle altissime aspettative intorno al «marzo femminista», il mese di lotta che culminerà l’8 e il 9 marzo con lo sciopero generale delle donne a cui, non a caso, inneggiava uno striscione sfuggito alla censura. Un mese temutissimo dal presidente, che su Twitter ha avuto già modo di pronunciarsi: «Marzo: mese di accordi o di violenza? Molti parlano di un marzo violento. Il governo si è preparato per proteggere l’ordine pubblico e promuovere un marzo di accordi».

 

Francisca Valenzuela (Ap)

 

E QUELLO ANDATO IN SCENA nel teatro di Quinta Vergara, in mezzo a fazzoletti verdi (simbolo della campagna per la legalizzazione dell’aborto) e lilla (il colore del movimento Ni una menos), è stato indubbiamente un anticipo dell’8 marzo che verrà, offerto in particolare dallo show di Francisca Valenzuela, vestita con una giacca nera coperta da scritte come «Basta impunità», «Femminismo e rivoluzione», e dall’accorato discorso politico di Mon Laferte, la più popolare cantante cilena, contro la disuguaglianza dominante nel paese.