Con 157 voti favorevoli e uno solo contrario il parlamento ungherese ha approvato una legge che, secondo la propaganda governativa, ha lo scopo di vietare «l’incoraggiamento» dell’omosessualità tra i minori. Una disposizione che esclude la possibilità di affrontare questo argomento nelle scuole «in difesa dei più giovani» e che proibisce l’uso di testi a uso scolastico che parlino della comunità Lgbtq.

«Ogni testo che affronti questa tematica in modo permissivo è dannoso per i minori», ha detto Máté Kocsis, 40 anni, capogruppo del partito Fidesz in parlamento. La misura è stata ampiamente criticata da Amnesty International e da altre organizzazioni attive sul fronte dei diritti civili, secondo cui il voto dell’Assemblea nazionale ungherese costituisce un duro colpo nei confronti dei diritti della comunità Lgbtq.

L’accaduto non deve meravigliare soprattutto se si pensa alla politica adottata da tempo dall’esecutivo di Budapest su argomenti di genere. È noto che il medesimo scoraggia apertamente gli studi di questo tipo, soprattutto quelli aventi a che fare con l’omosessualità perché, tuona il tam tam governativo, «il paese non può permettersi di incoraggiare tendenze simili».

Questioni etiche a parte, il riferimento è alla non florida situazione demografica nazionale che ha visto la popolazione ungherese scendere a meno di dieci milioni di abitanti, complice anche il considerevole processo migratorio che, secondo stime dell’Ocse, ha portato all’estero circa un milione di connazionali di Viktor Orbán tra il 2008 e il 2018. Un fenomeno che pare abbia riguardato soprattutto giovani provvisti di titolo di studio e in grado di parlare lingue straniere. Giovani che hanno deciso di espatriare per cercare nei paesi europei economicamente più solidi migliori condizioni di vita e di lavoro.

La loro partenza ha contribuito in modo significativo a problemi di carenza di manodopera in Ungheria, aspetto lamentato dal mondo imprenditoriale sul suolo danubiano. Ora, secondo alcune proiezioni, entro il 2050 il paese potrebbe assistere a un ulteriore calo demografico: poco più di 8 milioni di abitanti.

L’incremento delle nascite è tra le priorità del governo Orbán la cui propaganda descrive come famiglie modello quelle che danno figli alla patria e che, insieme al premier, respingono il principio del ripopolamento del paese da parte di immigrati provenienti da altre culture. Il quadro si completa se le famiglie «per bene» ungheresi si schierano contro l’incoraggiamento dell’omosessualità, vista come minaccia all’integrità morale della popolazione e alla sua consistenza numerica.

Gli esempi dell’impegno assunto dall’esecutivo in questo senso non mancano: l’anno scorso il governo ha dato vita a una campagna, con le destre più intolleranti, contro una raccolta di fiabe pubblicata, fanno notare fonti locali, da un’organizzazione civica che intendeva sensibilizzare i più piccoli al tema dei diritti delle minoranze. Il progetto si riferiva a omosessuali, Rom e persone con disabilità.

«Perché invece non occuparsi di rendes emberek (gente a posto)?», avranno detto i sostenitori più retrivi del principio di un’Ungheria «sana» e prolifica. All’epoca il testo è stato giudicato «provocatorio» dalle autorità governative e dai loro sostenitori e c’è stato anche chi ne ha strappato le pagine pubblicamente con un atto che ci riporta alla mente le fasi storiche più buie attraversate da questa nostra Europa.

Tornando alla legge, essa si impegna anche a vietare la visione di contenuti pornografici ai minori di 18 anni e a sanzionare la pedofilia con pene severe. Sì, nella disposizione riguardante il divieto di parlare di omosessualità nelle scuole si parla anche di pedofilia stabilendo tra le due cose una coabitazione arbitraria e odiosa.

Contro tutto questo è partita una petizione lanciata dal Budapest Pride e le proteste si fanno sentire sui social e nelle strade con iniziative che danno voce all’altra Ungheria.