La base elettorale degli avversari è costituita essenzialmente da maschi: bianchi e senza laurea. Si può vincere schierando una donna, nera e laureata? A cui aggiungere, magari, un ebreo? (l’antisemitismo è tutt’altro che scomparso nella base elettorale di Trump). Per Kamala Harris la scelta di un candidato alla vicepresidenza è un percorso a ostacoli.

Nel sistema politico americano il vicepresidente è una non-entità dal momento in cui giura sulla Bibbia. Durante la campagna elettorale, invece, è considerato molto utile, in particolare se le elezioni si giocano su poche migliaia di voti in due o tre stati in bilico: il suo compito è portare a casa i voti del suo stato d’origine, che potrebbero fare la differenza tra vittoria e sconfitta.

Da questo punto di vista, il grande favorito per il posto di vice di Kamala Harris è Johs Shapiro, governatore della Pennsylvania, uno swing state che nel 2016 andò a Trump e nel 2020 a Biden, sempre con margini ristretti. La Pennsylvania dispone di 19 voti elettorali (le elezioni presidenziali negli Stati Uniti non sono decise dalla maggioranza dei cittadini ma da un collegio di 538 delegati), voti che saranno quasi certamente decisivi per entrare alla Casa Bianca. Quindi Shapiro è di gran lunga in testa nel gruppetto di favoriti per diventare il vice, tanto più che come governatore è popolare e nel 2022 sconfisse il candidato repubblicano con 15 punti di scarto.

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Tutto deciso, dunque? Non proprio. Shapiro non solo è di religione ebraica ma ha fortissimi legami con Israele e, nel 1993, dopo la stretta di mano fra Ytzak Rabin e Yasser Arafat scrisse un articolo sul giornale universitario intitolato seccamente “La pace non è possibile”. Questo potrebbe essere un problema se Harris volesse smarcarsi dalla politica di completo sostegno a Israele attuata da Joe Biden. Una correzione di rotta necessaria non tanto perché la pensi diversamente quanto perché tra i giovani fra i 18 e i 29 anni i massacri a Gaza e la possibile/probabile guerra in Libano o in Iran sono estremamente impopolari. E i giovani sono una delle componenti della coalizione democratica che Harris non può permettersi di ignorare o deludere.

Quindi Shapiro rimane il front runner ma ci sono altri candidati che porrebbero meno problemi, per esempio l’ex astronauta e ora senatore dell’Arizona Mark Kelly. Anche l’Arizona è uno stato contendibile: nel 2020 andò a Biden, con uno scarto di soli 11.000 voti e i repubblicani fecero fuoco e fiamme per rovesciare il risultato, che però rimase tale dopo per cinque riconteggi. Kelly è figlio di una coppia di poliziotti, pilota nella prima guerra del Golfo, poi astronauta con 50 giorni nello spazio al suo attivo. È sposato con l’ex deputata Gabby Giffords, quasi uccisa da uno squilibrato con un colpo di pistola alla testa nel 2011.

È un centrista che si vanta di aver realizzato accordi con in repubblicani nel suo mandato di senatore, il che non è necessariamente un punto a favore in una campagna elettorale aspra e violenta come quella in corso. Il suo curriculum potrebbe aiutare Harris ma l’Arizona dispone soltanto di 11 delegati nel collegio elettorale, quindi è uno stato meno interessante della Pennsylvania per raggiungere il numero magico di 270 grandi elettori, la maggioranza che dà la vittoria a un candidato.

Il terzo contendente nella short list di Kamala è Tim Walz, governatore del Minnesota, eletto confortabilmente nel 2018 e rieletto nel 2022. Ex deputato piuttosto progressista, Walz si è dichiarato pubblicamente favorevole a un cessate il fuoco a Gaza, quindi potrebbe essere una scelta interessante se Harris volesse smarcarsi da Biden, cosa peraltro difficile negli ultimi mesi del mandato di quest’ultimo. Walz caratterizzerebbe il ticket a sinistra (con tutti i limiti che questo significa nella politica americana) ma il Minnesota è uno stato abbastanza sicuro per i democratici, che hanno vinto sia nel 2016 che nel 2020, con largo margine. Kamala Harris potrebbe quindi giudicare Walz poco utile per ampliare la sua maggioranza.

Un outsider interessante è un altro candidato progressista, sostenuto dai sindacati, il governatore del Kentucky, Andy Beshear, che ha vinto due volte nel suo Stato dove la maggioranza va largamente ai repubblicani. Beshear è popolare, anche se è improbabile che i democratici vincano in Kentucky, dove Trump nel 2020 ottenne il 62% dei suffragi, contro il 36% a Biden.