Il Partido socialista obrero español (Psoe) sta respirando una boccata di ossigeno. Nell’ultima tornata elettorale del 2016, alle politiche il partito (anche allora guidato da Pedro Sánchez) aveva ottenuto meno del 23% dei voti: la percentuale più bassa di sempre, equivalenti a 85 deputati (su 350). Fino alla primavera scorsa, non sembrava che le cose potessero migliorare più di tanto, e questo nonostante la gestione fallimentare del Pp, la corruzione, la crisi catalana e mille altri motivi. Ma l’inaspettato cambio di governo, con l’approvazione della mozione di sfiducia a giugno, ha rimesso al centro dello scacchiere un partito la cui linea politica era stata zigzagante, con Sánchez schiacciato dai baroni del partito, quasi tutti fortemente ostili a Podemos e alleati.

L’amore per il carro del vincitore non è prerogativa italiana: e così anche i baroni più recalcitranti (che forse speravano di far fuori per la seconda volta Sánchez) hanno dovuto fare buon viso a cattivo gioco: alcuni si sono allineati, altri hanno fatto un passo indietro. Ma i nove mesi di governo sono serviti a Sánchez per segnare una linea: un governo femminista (record mondiale di ministre, 2/3), impegnato sui temi sociali (l’aumento del salario minimo a 900 euro lordi per 14 mesi all’anno e i permessi di paternità che diventeranno uguali a quelli di maternità, due fra le misure stellari, entrambe approvate per decreto), più attento alla scienza e alla ricerca scientifica, alla cultura, a cancellare l’eredità franchista, e ai diritti (anche se la nave di Open Arms è sempre bloccata al porto di Barcellona), che – almeno a parole – dice di cercare il dialogo sulla questione catalana (con qualche minimo passo in avanti rispetto all’impasse precedente) e che, sempre a parole, dice di voler abrogare le leggi più odiose del governo popolare.

Dalla sua, Sánchez ha ora non solo promesse da mantenere, il che lo rende più credibile davanti agli elettori. Perché in Spagna la prima preoccupazione non sono le elezioni europee, ma le politiche che si celebreranno il 28 aprile e che diranno se Sánchez potrà tornare a guidare il governo (inevitabilmente con l’appoggio di Podemos e alleati) o il Trifachito, come è stata battezzata la nuova alleanza delle destre di Pp, Ciudadanos e Vox, lo scalzerà dal potere.

Secondo i sondaggi (da prendere con le molle), il Psoe sarà primo partito, ma con meno del 28% dei voti (e circa 115 seggi), 7-8 punti sopra il Pp, che raggiungerebbe il suo minimo storico (intorno al 20%, 85 seggi).

Certamente per il Psoe risulterà benefica la breve stagione governativa (e in questo Sánchez è stato molto abile): il problema è capire se sarà solo una vittoria di Pirro (cosa che dipenderà da quanto verrà indebolito Podemos). Ma una cosa Sánchez ha imparato: ora che ha in mano il partito, ha fatto in modo di controllare strettamente le liste in tutte le province. Addio quindi ai deputati malpancisti che hanno reso la sua vita parlamentare impossibile: quelli che riuscirà a far eleggere stavolta saranno fedelissimi (con buona pace di Susana Díaz, ex potente presidente andalusa, che ha cercato di far entrare in lista candidati vicini a lei). Tra l’altro il rebus andaluso (da dove arriva la maggior parte dei voti socialisti) sarà protagonista il 28-A: per Díaz sarà una rivincita (dopo la sonora sconfitta di dicembre alle regionali), deve recuperare voti se non vuole essere spazzata via, ma così facendo rinforzerà anche Sánchez: un colpo da maestro del segretario socialista.

Le europee sono lontane dall’orizzonte: è già chiaro che Sánchez spedirà a Bruxelles l’attuale ministro degli esteri, il catalano più odiato dagli indipendentisti, Josep Borrell (ex presidente del parlamento europeo), che sarà capolista. Ma a parte questo, il panorama non è ancora chiaro. I socialisti spagnoli sperano almeno di ottenere il risultato di 5 anni fa, il 23% (14 seggi), ma se il Regno Unito esce dall’Unione, alla Spagna invece di 54 toccheranno 59 seggi. Il Pp allora ottenne il 26% (16 seggi). In quell’occasione Izquierda unida correva sola (10%, 6 seggi, nel gruppo Gue) e Podemos debuttava in politica (8%, 5 seggi, sempre nel Gue). Quell’anno la destra ottenne in totale 25 seggi, la sinistra 29 – e per queste elezioni la circoscrizione è unica, con sistema proporzionale. Chissà se la Spagna riuscirà di nuovo a essere fra i pochi paesi che apporteranno più eurodeputati della parte sinistra dell’emiciclo.