«A causa di molteplici ostruzioni delle autorità maliane, il Canada e gli stati europei che operano assieme all’operazione Barkhane e in seno alla Task Force Takuba ritengono che le condizioni politiche, operative e giuridiche non ci sono più per proseguire efficacemente l’impegno militare attuale nelle lotta al terrorismo in Mali e hanno quindi deciso di avviare il ritiro coordinato dal territorio maliano dei rispettivi mezzi militari».

Un comunicato molto duro, una conferenza stampa all’Eliseo con Emmanuel Macron assieme al presidente del Consiglio Ue, Charles Michel e ai presidenti di Senegal e Ghana, Macky Sall e Nana Akufo-Addo, rispettivamente alla testa dell’Unione africana e della Cedeao, per comunicare che la Francia si ritira dal Mali, dopo 9 anni di intervento militare contro il terrorismo, iniziato sotto la presidenza Hollande nel 2013 su richiesta dell’allora governo di Bamako.

IERI MATTINA ALL’ELISEO il clima era lugubre, il presidente francese sulla difensiva: il ritiro, anche se non ha la stessa drammaticità di quello Usa dall’Afghanistan, perché si farà in «coordinamento» locale (ma in tempi rapidi: 4-6 mesi, ha detto Macron), segna la fine di un’epoca. L’intervento in Mali è stato il più lungo e impegnativo delle forze francesi dopo la guerra d’Algeria. La sconfitta – perché di questo si tratta, i jihadisti controllano sempre maggiori territori – arriva dopo tante altre, a partire dal caos libico, che continua a far seguito all’intervento ai tempi di Sarkozy contro Gheddafi.

Macron, per premunirsi contro gli attacchi dei rivali nell’imminente corsa per l’Eliseo (si vota il 10 e il 24 aprile), cerca di internazionalizzare il ritiro, per togliere argomenti alla tesi del «declino francese» sbandierata dall’estrema destra: «In stretta intesacon gli stati vicini», aggiunge il documento, i paesi implicati in Takuba «hanno egualmente espresso la volontà di restare impegnati nella regione», cioè proseguiranno «l’azione congiunta» nel Sahel, in particolare in Niger e nel Golfo di Guinea (ma anche qui ci vorrà molta destrezza, c’è ostilità nelle popolazioni verso la presenza dell’ex potenza coloniale). Ulteriori precisioni sono attese per il prossimo giugno.

RESTA LA MISSIONE ONU Minusma per la messa in opera dell’Accordo di pace e riconciliazione in Mali (22 miliardi di finanziamenti), ci saranno soldi per progetti civili e sociali, a vantaggio della popolazione, che per Macron «non è solo vittima, ma difesa contro il terrorismo».

La Ue non abbandona del tutto il Mali, aveva precisato a l’Alto rappresentante per la politica estera Borrell. Ma per Parigi e i paesi della Takuba, dopo l’espulsione dell’ambasciatore francese da parte della giunta e lo sbrigativo invito ai danesi di lasciare il Paese, è una svolta. «Ci saranno meno operazioni anti-terroriste» ha ammesso Macron, ricordando con amarezza che 53 militari francesi hanno trovato la morte nelle missioni in Sahel negli ultimi anni (48 in Mali).

«Gli europei non condividono né la strategia né gli obiettivi nascosti della giunta” arrivata al potere a Bamako, ha sottolineato Macron (senza dilungarsi sulla presenza dei russi di Wagner). Sall e Akufo-Addo hanno ricordato che la cooperazione con gli europei resta necessaria.

Errata Corrige

Macron getta la spugna dopo 9 anni di impegno militare nel paese saheliano. Ma “internazionalizza” il ritiro per non offrire il fianco agli attacchi della destra sul «declino» di Parigi