Dario Parrini, presidente della commissione affari costituzionali del senato, è l’esperto del Pd in materia di legge elettorale.
Perché la soglia di sbarramento al 5% la considerate «non discutibile»? In maggioranza Leu non era d’accordo da principio e andrebbe sentito il parere delle opposizioni.
Perché la discussione su come si distribuiscono i seggi tra i partiti l’abbiamo già fatta, è stata oggetto di un lungo negoziato durato mesi e il 5% è il punto di incontro migliore. Per il Pd è un elemento decisivo perché dà al sistema elettorale quella componente selettiva che permette di ridurre la frammentazione e rafforzare la stabilità di governo. La discussione con l’opposizione siamo pronti a farla, vedremo i loro emendamenti: non chiudiamo le porte ma per noi la soglia di sbarramento resta quella.
C’è un gran lavoro sulla Costituzione. Dopo la riduzione dei parlamentari stanno, più o meno, andando avanti le riforme che il Pd aveva chiesto come «compensazione» al taglio. Ora presentate un disegno più grande di revisione del bicameralismo e sfiducia costruttiva. Come si fa a cambiare adesso la legge elettorale? Non dovrebbe essere una scelta da fare in funzione all’assetto istituzionale che verrà fuori da questo “cantiere”?
Non credo nella indiscutibilità delle riforme costituzionali senza legge elettorale. C’è solo un collegamento indispensabile e immediato, l’articolo 138. Può rimanere com’è solo se scegliamo un sistema proporzionale. Viceversa, con un sistema maggioritario – e il parlamento a numeri ridotti – mettiamo in mano al vincitore la possibilità di cambiare la Costituzione da solo e senza referendum. In quel caso il quorum dell’articolo 138 va alzato. Sbagliammo a non farlo quando venne introdotto il maggioritario. Ma non è solo questo il motivo per cui credo che il sistema proporzionale sia il più adatto per questa fase storica.
Non eravate per il doppio turno di coalizione?
Storicamente è la proposta del Pd, ha il vantaggio di assicura i seggi per governare ma impedisce che ci sia uno “stravincitore” visto che può arrivare al massimo al 55%. Ma nel quadro politico attuale il credo che il proporzionale con soglia alta sia il sistema migliore. Anche perché ha il vantaggio di creare le condizioni per liberare Forza Italia dalla sostanziale dipendenza e subalternità a Salvini. Mi pare un positivo effetto di sistema, visto che stiamo parlando di una forza europeista e di una forza anti europea. Questo non significa allearsi con Forza Italia, significa slegarla dalla Lega.
Perché il Pd è così freddo verso la proposta 5 Stelle di tornare alle preferenze?
Io non demonizzo le preferenze, le usiamo per eleggere consiglieri comunali e regionali e parlamentari europei. E non demonizzo nemmeno le liste bloccate corte stampate sulla scheda, quelle che abbiamo adesso con la legge Rosato non sono la stessa cosa che c’era con la legge Calderoli. Ma certo il tema di come far contare di più i cittadini nella selezione dei candidati e degli eletti non è eludibile. Serve però una discussione laica che parta dalla consapevolezza che le vie percorribili sono diverse e che nessuna è perfetta. Per me, ma è solo un parere personale anche se è in sintonia con quello di Zingaretti, all’interno di un sistema proporzionale il modo migliore per massimizzare i benefici e minimizzare i rischi non sono le preferenze ma sistemi che danno risultati finali proporzionali pur essendo basati sui collegi uninominali.
Come il sistema con il quale è stato eletto il senato dal 1948 al 1992, quando è arrivato il Mattarellum. Lì però i candidati nei collegi uninominali sono scelti comunque dai partiti e non dagli elettori.
Perché i candidati nelle liste da votare con le preferenze chi li sceglie? Con questo modelli i candidati nell’uninominale si possono scegliere con le primarie, facendo attenzione però che sia garantita la rappresentanza di genere. Ma il fatto che il partito possa indicare il candidato migliore non lo vedrei come un difetto, il partito ci mette la faccia, si espone. Durante gli anni della prima Repubblica la Dc e il Pci usavano i collegi uninominali a base proporzionale per portare in senato le grandi personalità della società civile che altrimenti con le preferenze non sarebbero state elette.
Una seconda critica è che un sistema del genere non garantisce l’elezione del candidato vincitore nell’uninominale.
È un difetto che si può risolvere e che sarebbe del tutto marginale nel caso concreto dell’Italia oggi. Ma è sbagliata l’espressione «vincere il collegio» perché in questo sistema la gara, se così si può dire, non è tra candidati di diversi partiti per stabilire chi arriva primo nel collegio, ma tra candidati del medesimo partito per stabilire chi arriva più in alto come percentuale di partito nella circoscrizione. Come ha detto Zingaretti, diversamente che con le preferenze, sparisce la lotta tra i candidati dello stesso partito impegnati a contendersi i voti nello stesso territorio. Un effetto assai positivo.