Si dice che nelle stanze della diplomazia internazionale a Erdogan si attribuisca l’abilità del gran negoziatore: tenere la barra alta per ottenere un compromesso più che accettabile. Ieri a negoziare per lui sul Nato-affair con il vero interlocutore, gli Stati uniti, ha inviato il suo ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu.

L’incontro con il segretario di Stato Antony Blinken, organizzato a margine della conferenza al Palazzo di Vetro «Global Food Security Call to Action», è giunto poche ore dopo il blocco imposto dalla Turchia a Bruxelles del dibattito tra i rappresentanti dei 30 alleati atlantici sull’adesione di Svezia e Finlandia. Ankara ha votato contro l’avvio della discussione, di fatto interrompendola sul nascere.

E ATTRAVERSO il portavoce della presidenza, Ibrahim Kalin, ieri ha recapitato il messaggio a Svezia, Finlandia, Germania, Regno unito e Usa: «Se le aspettative della Turchia non saranno accolte, un progresso nel processo (di adesione) sarà impossibile». Indirettamente, ha risposto Biden, che oggi incontrerà alla Casa bianca l’omologo finlandese Sauli Niinistö e la prima ministra svedese Magdalena Andersson: ieri il presidente statunitense ha promesso a Helsinki e Stoccolma sostegno «in caso di aggressione» anche nella fase preliminare di adesione all’Alleanza.

Poco dopo, da una base militare vicino Washington, ai cronisti presenti ha detto che le obiezioni turche cadranno e che, sì, «andrà tutto bene». Parole simili a quelle di Jake Sullivan, il suo consigliere per la Sicurezza nazionale: «Siamo fiduciosi che le preoccupazioni della Turchia possano essere affrontate e superate».

ANKARA SA che il suo veto all’ingresso dei due paesi scandinavi può essere scambiato a un prezzo conveniente. Ed è Washington a poterlo pagare: tra le richieste turche c’è la definitiva risoluzione della bagarre F35 e S-400, ovvero i due contratti siglati negli anni scorsi dal presidente Erdogan con i due alleati-rivali, Stati uniti e Russia.

Erdogan vuole la ripresa del programma di consegna degli aerei F35 che Washington sospese dopo l’acquisizione turca del sistema di difesa aerea russo S-400. Non solo: vuole il via libera all’acquisto di quaranta F16 statunitensi (sei miliardi di dollari) e la cancellazione delle sanzioni introdotte per i legami militar-commerciali con Mosca. Sugli F16 ieri Cavusoglu ha parlato di dialogo positivo.

LA CACCIATA della Turchia dal programma F35 della Lockheed Martin (120 aerei entro il 2030) risale a metà 2019: il Pentagono comunicò all’alleato lo stop all’invio dei caccia e all’addestramento di 34 piloti turchi, mentre i primi missili terra-aria russi, gli S-400 appunto, arrivavano a destinazione. Uno strappo che nemmeno il ritiro Usa dal Rojava nell’ottobre 2019 (che diede di fatto luce verde all’invasione turca) ha potuto ricucire.

Sullo sfondo sta poi la questione Pkk. Da Helsinki e Stoccolma il governo turco vuole garanzie ed estradizioni: basta sostegno più o meno diretto alle Ypg (le unità di difesa curde della Siria del nord-est considerate da Ankara organizzazione terroristica come il Pkk) e la loro pubblica scomunica; consegna di membri del Partito curdo dei Lavoratori residenti in Svezia e Finlandia; e fine dell’embargo delle armi che i due paesi hanno ordinato a seguito dell’occupazione militare turca di un pezzo di Rojava nel 2019.

DA GIORNI in Turchia la stampa filo-governativa martella su questo punto elencando i trasferimenti di armi da parte svedese verso le Ypg. Dimenticando di sottolineare che le unità di difesa curde sono parte della coalizione anti-Isis.

A New York, Cavusoglu ha incontrato anche il ministro degli esteri italiano Luigi Di Maio: «Non ho l’impressione che la Turchia voglia mettere un veto all’ingresso di Svezia e Finlandia», ha detto Di Maio dopo il vertice in cui i due hanno trattato anche del ruolo turco di negoziatore tra Russia e Ucraina, l’altra carta che Erdogan sa di potersi giocare.