Benvenuti al giorno uno della prima legislatura indipendentista catalana. Lunedì, ultimo giorno disponibile secondo la legge, si è riunito per la prima seduta il parlamento catalano uscito dalle elezioni del 27 settembre. Un parlamento che vede una maggioranza indipendentista formata da Junts pel Sí (coalizione di partiti e «società civile» a favore dell’indipendenza), che propone l’uscente presidente Artur Mas, del partito di centrodestra Convèrgencia democràtica de Catalunya, come nuovo capo dell’esecutivo catalano, con 62 seggi su 135; e dalla Cup, il partito di estrema sinistra, movimentista, anticapitalista e femminista, che con i suoi 10 seggi ha in mano le chiavi per l’elezione del Govern.

Gli altri 63 deputati sono ripartiti, per ordine di importanza, fra Ciutadans, il partito di destra centralista e sempre più in auge, socialisti, Catalunya sí que es pot (coalizione di Podemos, Izquierda unida e altri, che non si schierano sul fronte indipendentista) e, ultimi, popolari. Senza la Cup, i 63 voti dell’opposizione ad Artur Mas e alleati possono bloccare qualsiasi elezione.

La Cup ha promesso che mai e poi mai eleggerà Mas, mentre questi non ha intenzione di mollare la poltrona per nessuna ragione al mondo.

A decidere i tempi e i modi delle trattative però è proprio la Cup, che saggiamente ha lasciato la questione del nome all’ultimo momento, per discutere di tutti gli altri temi che stanno loro a cuore: l’indipendenza da Madrid, certo, ma anche i temi dell’emergenza sociale di cui si sono fatti portavoce. E Mas è costretto ad abbozzare, in attesa che si sciolga il nodo sul suo nome.

Il tutto mentre sul partito di Mas si sta scatenando una tempesta giudiziaria di proporzioni bibliche: in carcere il tesoriere, il suo predecessore e la storica famiglia Pujol, di cui Mas è erede politico, sotto inchiesta.

I «morsi» del 3% del valore degli appalti pubblici, che già dieci anni fa denunciava Pasqual Maragall, storico presidente socialista fra il 2003 e il 2006, sono al centro delle indagini giudiziarie che hanno subìto un probabilmente non casuale impulso proprio nei giorni convulsi per la scelta del nuovo presidente.

Mas parla di «caccia grossa» verso di lui da parte dello stato spagnolo, ed è indubbio che la tempistica è quanto meno sospetta. Tuttavia, da indiscrezioni della stampa (sempre informata con il dovuto anticipo per ciascuno dei «blitz» polizieschi di questi giorni), gli indizi sui «contributi» al partito degli impresari sempre in corrispondenza della vincita di gare d’appalto chiave sono sempre più pesanti. E tutto questo non fa che portare acqua al mulino di chi Mas non lo vuole seduto nel palazzo della Generalitat catalana. D’altra parte, Junts pel Sí è il partito di maggioranza relativa (cosa che in Catalogna così come nel resto della Spagna è politicamente molto rilevante), ma con meno del 40% dei voti.

Intanto lunedì si è concretizzato l’accordo già raggiunto la settimana scorsa: a presiedere la camera catalana è la numero due di Junts pel Sí, Carme Forcadell, filologa catalana, ex militante di  Esquerra Republicana (il partito di centrosinistra alleato di Mas in Junts pel Sí) ed ex presidente dell’associazione pro indipendentista Assemblea nacional catalana (Anc), una delle associazioni che hanno organizzato le oceaniche manifestazioni indipendentiste degli ultimi anni. Che ha già suscitato reazioni isteriche e stracciamenti di vesti nella stampa di Madrid per la conclusione del suo discorso di insediamento: «Viva la democrazia, viva il popolo sovrano, viva la repubblica catalana». Oltre ai 72 voti indipendentisti, ne ha ricevuti altri 5 da Catalunya sí que es pot (che dispone di 11 seggi) come gesto «di fiducia».

Il primo gol portato a casa dalla Cup è che il Parlament voterà una risoluzione presentata ieri che lo impegna a iniziare entro trenta giorni il processo verso la repubblica catalana con l’approvazione di leggi ad hoc e ignorando le istituzioni spagnole. Il governo di Rajoy ha già promesso guerra senza quartiere.

Le convulse negoziazioni hanno raggiunto vertici notevoli di surrealismo.

Uno dei temi più spinosi è stata la distribuzione dei seggi in aula. Alla fine ha vinto temporaneamente l’opzione che rompe lo schema destra/sinistra. Nella parte sinistra dell’emiciclo siederanno i deputati di Junts pel sí e della Cup. Nella parte destra tutti gli altri. Anche la presidenza, formata da sette membri compresa la presidente e fondamentale per mandare le leggi in aula, è stata un rompicapo. Alla fine, dopo la rinuncia della Cup per essere il partito più piccolo, per mantenere la maggioranza indipendentista Junts pel sí ne ottiene 4, gli altri tre all’opposizione.

Per l’elezione del capo dell’esecutivo c’è tempo fino a gennaio, dopo di che si dovranno convocare nuove elezioni. Molto probabile che le trattive si trascinino fino a capire cosa succederà a Madrid dopo le elezioni del 20 dicembre.