La nuova ministra spagnola della gioventù e dell’infanzia, Sira Abed Rego, ex eurodeputata, è la rappresentante di Izquiera Unida nel governo Sánchez uscito dalle urne dello scorso luglio. Conosce bene il manifesto: venne a trovarci in redazione a Roma qualche mese fa, prima di prendere il posto di Alberto Garzón come esponente nell’esecutivo spagnolo dello storico partito della sinistra iberica, oggi membro della piattaforma Sumar.

Tutta la sua famiglia paterna vive in Cisgiordania: lei stessa ha vissuto parte della sua infanzia a Gaza. Il dramma palestinese la tocca da vicino.
È evidente che quello che sta accadendo in Palestina è un’occupazione, e che viene sistematicamente violato il diritto internazionale e i diritti umani. Succede da 75 anni, e la situazione è peggiorata. Assistiamo in diretta a un genocidio, a una pulizia etnica del popolo palestinese. Questo deve essere denunciato, è un’infrazione del consenso nato dalla seconda Guerra mondiale secondo cui le democrazie avanzate si basano sui diritti umani. Quando si normalizza che si possano bombardare rifugiati, ospedali e popolazione civile assediata, lasciarla senza acqua, senza cibo, senza combustibile e senza possibilità di fuggire stiamo avallando un nuovo sistema di diritti umani, contro cui dovrebbe posizionarsi qualsiasi persona democratica.

Non molti ministri in Europa hanno assunto una posizione tanto limpida come la sua sul tema. La Spagna che farà?
La Spagna ha mantenuto la posizione più degna. Ha chiesto un cessate il fuoco immediato, ponendo la necessità di far arrivare gli aiuti umanitari, posizionandosi anche con la Corte Penale internazionale e difendendo il riconoscimento dello stato palestinese. La richiesta dell’Onu di un cessate il fuoco è positiva, ma arriva tardi. Con 35 mila persone assassinate. Per me è molto doloroso.

Parliamo di politica interna. Potrebbe essere la prima volta di una donna leader di Izquiera Unida. Che obiettivi si dà se prenderà le redini del partito?
Iu deve consolidarsi, ampliare la propria base sociale e rafforzare la struttura territoriale che ci caratterizza. E poi è importante irrobustire l’azione politica che facciamo nelle nostre assemblee: la politica non si fa solo nelle istituzioni, ma anche nella vita quotidiana. Politicizzare la vita quotidiana per me è fondamentale in termini strategici perché il programma della destra e dell’estrema destra è chiaro: taglio dei diritti e della democrazia. Noi invece vogliamo ampliare i diritti incorporando nuove richieste sociali, il femminismo, la lotta nel contesto della crisi ecosociale.

La sua candidatura ha generato malessere nel partito.
Per me l’importante è parlare di come vogliamo fare le cose. Io ho uno stile di lavoro orizzontale, ho viaggiato molto per tutto il territorio, ho ottimi rapporti con moltissime persone con sensibilità diverse nel partito. Voglio una direzione corale e collettiva, con una logica repubblicana di radicalità democratica e femminista. A me non piace parlare in termini di scontro, vedo solo opportunità di dibattito politico e di dialogo da cui emerga una sintesi.

Ora guida un ministero che non esisteva. Quali risultati vorrebbe portare a casa alla fine della legislatura?
L’obiettivo di questo ministero deve essere ampliare i diritti della gioventù e dell’infanzia. Aumentare il diritto alla partecipazione politica, garantire e ampliare i diritti economici e materiali. Proteggere la infanzia e la gioventù dalla violenza. Lavorare per eradicare la violenza contro l’infanzia. E ci sono molti tipi di violenza. Li dobbiamo identificare, disegnare una strategia e applicare tutte le norme della legge sulla protezione all’infanzia dalla violenza del 2021. E poi dobbiamo eradicare la povertà infantile.

Non è poco. Dove tiene il suo superpotere per risolvere tutti questi problemi?
Sono obiettivi indubbiamente ambiziosi, il problema è enorme. Ma dobbiamo fare del nostro meglio e non fermarci neppure un minuto.

Come sta Sumar (la coalizione dei partiti alla sinistra del Psoe)? E come vanno le relazioni con Podemos (che di Sumar non fa più parte)? Si avvicinano tre elezioni: in Catalogna, nei Paesi Baschi e infine le europee.
C’è una parte istituzionale di Sumar e una elettorale. Quella elettorale ha funzionato bene. Lo spazio politico si sta costruendo. Bisognerà trovare meccanismi perché tutti ci si sentano comodi. Io comunque sono concentrata nel processo di riorganizzazione di Iu, che deve comunque avere la propria autonomia anche in Sumar.

È stato un errore separare il cammino con Podemos?
È ovvio che non è stata possibile una intesa. Però condividiamo una parte degli obiettivi e non possiamo rompere il dialogo. Sicuramente potremmo trovare accordi su molti punti del programma nel corso della legislatura. Credo sia più importante mettere a fuoco questo che quello che ci ha fatto allontanare. In Iu lo abbiamo fatto sempre: anche con compagne e compagni che da Iu sono finiti in altri partiti. Bisogna guardare più al paese che ai nostri piedi.

Ci sono più motivi personali o più motivi politici per questa separazione?
Il femminismo ci insegna che il personale è politico. Certamente ci sono elementi personali, siamo esseri umani e come tali ciascuno con la propria soggettività. Non siamo robot, dobbiamo riconoscere che siamo attraversati dai nostri dolori e dalle nostre contraddizioni.

Parlando di contraddizioni. Un tema su cui si è spesa sempre molto politicamente è quello della migrazione. Nel governo è con un ministro, come quello degli interni, che avete criticato molto per la gestione dei migranti.
Negli ultimi cinque anni siamo stati molto chiari sul pacchetto di migrazione e asilo approvato dal Parlamento europeo. In termini storici il fatto che l’Europa abbia eliminato il diritto di asilo è gravissimo, è il trionfo della narrativa dell’estrema destra. La politica migratoria europea è completamente disumanizzata. È ovvio che dentro il governo siamo consapevoli che non sempre le posizioni su questo tema sono le stesse.

Vedremo nuovi casi come quello della tragedia di Melilla, dove morirono decine di persone che cercavano di attraversare la frontiera?
Spero di no. Noi lavoreremo perché non succeda. E come ministero stiamo cercando di gestire tutto il tema dei minori non accompagnati. Per esempio con un criterio di distribuzione vincolante per le regioni e solidaristico con i minori che arrivano nel nostro paese. Dobbiamo sempre ricordare che la migrazione non è un fenomeno puntuale, è strutturale ed è dinamico. Pertanto la maniera di gestire le politiche migratorie deve cambiare radicalmente: non vedere il tema migratorio come crisi ma come fenomeno strutturale. Le persone che arrivano sono sfollate, rifugiate che fuggono dalla guerra, dal cambiamento climatico, dalle persecuzioni politiche. Noi ci concentriamo sui bambini, indipendentemente dal loro luogo di nascita, però come stato dobbiamo garantire i diritti di tutti migranti.

Cosa pensa dell’iniziativa che il manifesto ha lanciato in occasione del 25 aprile per riunire a Milano tutte le forze europee contro l’ascesa delle destre nel continente?
Le democrazie europee devono la loro origine alla lotta antifascista. Mi sento erede delle donne e degli uomini che hanno promosso la resistenza in tutta Europa e mi identifico con le lotte di chi continua a impegnarsi per aumentare i diritti delle persone. Le rivendicazioni della resistenza antifascista non appartengono al passato: vivono nel presente. È nostra responsabilità continuare a far avanzare la memoria con i nostri passi. In un momento in cui la retorica dell’odio fascista sta ancora una volta generando paura in tutta Europa, non c’è miglior antidoto alla rassegnazione e alla paura che scendere in piazza, incontrarsi e costruire insieme società che mettano al centro il bene comune e non il privilegio di pochi.