È lungo due pagine fitte di sigle il comunicato con cui la coalizione EuropeforPeace chiama il movimento per la pace in piazza a Roma il prossimo 5 novembre. Le parole di quella che si annuncia come una manifestazione molto partecipata risuonano da tempo nel lavoro, spesso sotterraneo, che centinaia di organizzazioni grandi e piccole hanno fatto in questi mesi.

Cessate il fuoco. Messa al bando delle armi nucleari. Solidarietà col popolo ucraino e con le vittime di tutte le guerre. E una chiamata infine perché la politica prenda il sopravvento e spinga verso una conferenza di pace sull’Ucraina organizzata dall’Onu.

LE FIRME IN CALCE al documento che enuncia la piattaforma pacifista cominciano con la A di Arci e Acli – per citare due colossi dell’associazionismo laico e cattolico – per finire con la V della Onlus VIM. Oltre 600 associazioni, una rete delle reti figlia di «una scelta unitaria che tiene dentro tutte le esperienza che da giugno hanno dato vita alla coalizione EuropeforPeace», spiega Giulio Marcon di Sbilanciamoci! che annuncia «una fiaccolata il 21 dal Campidoglio e a seguire il fine settimana di mobilitazioni diffuse il 21-23 ottobre fino alla grande manifestazione popolare che il 5 novembre ci porterà a Roma con una proposta diversa sulla guerra che rompa il clima assordante e fastidioso di attacco al movimento pacifista e a chi vuole offrire un altra scelta: non vincere la guerra ma vincere la pace».

Marcon ricorda l’importanza dell’Onu, di quell’Agenda per la pace scritta dall’allora segretario Boutros Ghali, ultimo tentativo di riscrivere il paradigma della convivenza internazionale. Ignorato. «Adesso – dice Marcon durante l’incontro sulla pace promosso ieri a Roma dal Salone dell’editoria sociale – vedo l’ipocrita rincorsa del treno pacifista da parte della politica e di molta stampa, una scelta contraddittoria in cui alligna molta malafede».

E a chi chiede se la manifestazione del 5 sarà «equidistante», parola in questi mesi oggetto di polemica, Marcon risponde: «Non siamo equidistanti, siamo equivicini nella scelta di far sedere i contendenti allo stesso tavolo. E non siamo neutrali. Siamo e siamo sempre stati dalla parte delle vittime».

RENATO SACCO di Pax Christi dice al manifesto che la sua organizzazione chiede da febbraio che «tacciano le armi». Il consigliere nazionale di Pax Christi, da pochi giorni rientrato da Kiev con la quarta carovana di StopTheWarNow, spiega perché «aderiamo con convinzione alla manifestazione e la promuoviamo. Del resto fin dall’inizio di questa guerra, il nostro presidente mons. Ricchiuti è sempre intervenuto per dire: No all’invio di armi. Lo abbiamo detto negli anni scorsi, anche quando l’Italia le vendeva a Putin. E lo ripetiamo ancora. Non perché non ci sta a cuore la vita delle vittime. Anzi! Lo dico proprio perché sono appena rientrato da Kiev: non saranno le armi a far finire questa guerra e tutte le guerre. I risultati sono davanti agli occhi di tutti. Le cose sono solo peggiorate e siamo sull’orlo dell’olocausto nucleare. Con Papa Francesco ripetiamo: “Che cosa deve ancora succedere? Quanto sangue innocente deve essere ancora versato?”».

Francesco Vignarca, di Rete italiana Pace Disarmo, spiega anche il valore delle tante attività diffuse in programma dal 21 al 23 ottobre, «che ci guideranno verso la manifestazione nazionale per la pace, segno di un lavoro continuo di tutte le nostre organizzazioni. Nonostante molte critiche strumentali noi non abbiamo mai smesso di stare dalla parte di chi soffre sotto le bombe e di chi vuole costruire davvero una pace vera, impossibile da costruire con le armi».

«Il GRANDE ATTIVISMO che vediamo – dice al manifesto – dimostra che una grossa fetta dell’opinione pubblica italiana non è allineata alle decisioni prese dalla politica in questi mesi. E personalmente sono molto contento di vedere una grande convergenza sulla necessità di lavorare per un concreto disarmo nucleare».

Lavoro in Italia, lavoro in Ucraina. Martina Pignatti di UnPontePer racconta del valore di «ascoltare la gente, comprendere il senso di ingiustizia che tutti gli ucraini soffrono, capire che questa indignazione ha portato a un nazionalismo diffuso. Ma nello stesso tempo c’è anche chi porta avanti in Ucraina i passi per la costruzione della pace. E se non sono pacifisti come noi lo intendiamo hanno rispetto di una solidarietà che è presenza, la nostra, pur con scelte diverse». «Per questo – aggiunge Martina, anche lei di ritorno da Kiev – è importante continuare il dialogo e sostenere queste voci che nessuno aiuta».