È una guerra di parole, quella che si è svolta ieri mattina al Parlamento europeo, tra il primo ministro polacco, Mateusz Morawiecki, e la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, proseguita poi negli interventi degli europarlamentari. La Polonia tiene testa alla Ue e il passaggio all’azione di Bruxelles non sarà immediato: «La Commissione agirà» si è impegnata Ursula von der Leyen, ma l’ultima parola di fatto è del Consiglio europeo, che arriva diviso al vertice di domani e venerdì.

L’OGGETTO DEL CONTENDERE è il cuore stesso della costruzione europea: il rispetto dello stato di diritto, i valori comuni europei – «democrazia, libertà, eguaglianza, nonché rispetto dei diritti umani» – contro i quali il governo del Pis, il partito fondato dai fratelli Kaczyńskii, ha aperto «una sfida diretta». È successo il 7 ottobre, con la decisione del Tribunale costituzionale polacco, un’istituzione sotto controllo governativo, sul “primato” della legge nazionale sulle leggi europee, che mette in crisi la certezza del diritto per i cittadini su tutto il territorio Ue, mentre lo stato di diritto è «il collante che tiene assieme la Ue» ha sottolineato Ursula von der Leyen.

Questa è stata l’ultima mossa in un conflitto tra Varsavia e Bruxelles che dura da tempo sull’indipendenza della giustizia, ma non solo (libertà di espressione, libertà di stampa), che ha portato allo scontro diretto con la Commissione.

Adesso Bruxelles ha di fronte tre opzioni: impugnare la sentenza polacca; imporre la condizionalità del rispetto pieno dello stato di diritto per i finanziamenti Ue, mentre per il momento il fondo di rilancio per la Polonia (e l’Ungheria) è bloccato – si tratta di 24 miliardi di sovvenzione e di 12 di prestiti per Varsavia. Infine, l’ultima opzione è riattivare l’articolo 7, che può arrivare fino a sospendere il diritto di voto al Consiglio, ma Varsavia (come Budapest) è già sotto esame dell’articolo 7 dal dicembre 2017 e la procedura è lenta e sembra senza effetto. La seconda opzione – colpire il portafoglio – sembra la più probabile. Lo hanno chiesto esplicitamente Olanda e Lussemburgo, ma la Germania frena, Angela Merkel propone di continuare il dialogo.

IERI, MORAWIECKI ha parlato di «ricatto» di Bruxelles, per il primo ministro «la Polonia è attaccata in modo ingiustificato, non è ammissibile che si parli di sanzioni». Ha fatto riferimento alla storia, affermando che la Polonia ha contribuito a salvare l’Europa dal Terzo Reich e dal comunismo. «Respingo un linguaggio di minacce o coercizione – ha aggiunto – il ricatto diventa metodo abituale di alcuni stati membri», accusati di «paternalismo».

Ursula von der Leyen ha risposto mettendo un cuneo tra governo e popolo polacco, che ha votato per referendum l’entrata nella Ue nel 2003 perché «voleva la democrazia, la libertà di scegliere il proprio governo, la libera espressione e media liberi, farla finita con la corruzione e una giustizia indipendente per proteggere i loro diritti: questa è l’Unione e la ragione della sua esistenza». Varsavia però non vuole il Polexit,

Morawiecki assicura che la Polonia resterà «membro leale», che i polacchi «non vogliono andare altrove», ma ha precisato la tesi sovranista, che sa condivisa anche da altri: ci sono «preoccupazioni circa l’indirizzo che assume la Ue», perché «non è uno stato, i 27 stati membri rimangono sovrani al di sopra dei Trattati, sono gli stati membri che decidono quali competenze vengono trasferite alla Ue».

IN UNA LETTERA SPEDITA ai leader dei 27, Morawiecki evoca il rischio di «un organismo guidato a livello centrale, gestito da istituzioni prive di controllo democratico», «un fenomeno pericoloso», mentre «in ogni paese la Costituzione mantiene il primato».

Di fronte all’assemblea plenaria di Strasburgo il primo ministro ha insistito sul «doppio standard», citando esempi di conflitti anche in altri paesi che non hanno portato a sanzioni. Ma il paragone è respinto da Ursula von der Leyen: «È la prima volta in assoluto che il tribunale di uno stato membro rileva l’incompatibilità dei Trattati Ue con la Costituzione nazionale». La corte costituzionale tedesca di Karlsruhe, per esempio, ha contestato il Quantitative Easing della Bce, ma si trattava di un elemento, non di tutta la costruzione. Morawiecki cerca di cavarsela, evocando la possibilità dell’«abolizione della sezione disciplinare» che ha permesso di far fuori i giudici considerati scomodi dal Pis e che Bruxelles contesta.

PER IL GRUPPO S&D, «i voti non danno la legittimità di distruggere la democrazia» e «quando uno stato membro minaccia di non rispettare le regole si pone sulla porta di uscita» dalle Ue. Per il Ppe, «il problema non è la Polonia ma piuttosto la politica polacca, il governo polacco». L’estrema destra parla di «guerra fredda» dell’Europarlamento «per destabilizzare i governi conservatori» (gruppo Ecr, dove siede il Pis, con FdI) e di «processo staliniano» contro la Polonia (Id, dove c’è la Lega). Per Renew, Morawiecki vuole un’Europa «à la carte», dove «ognuno prende quello che gli conviene», un «bancomat».