Vanessa Gómez Cueva è una donna peruviana di 33 anni, in Argentina da 15. Venerdì 1 marzo, la polizia è andata a prenderla a casa, e il 4 è stata espulsa dal paese insieme al suo bambino di due anni, cittadino argentino. Al momento la donna e il figlio sono in Perù, mentre gli altri due figli della donna, di cinque e quattordici anni, anche loro cittadini argentini, sono rimasti nel paese. Il più piccolo dei due non parla da quando è stato separato dalla madre.

LA DONNA È STATA ESPULSA in quanto condannata per un reato contro la legge sulle sostanze stupefacenti. Una condanna che Vanessa ha già scontato nel 2014, diplomandosi in seguito in Tecniche infermieristiche. Quindi «in Argentina si implementa una politica migratoria che restringe i diritti», come denuncia Mariela Belski, direttrice di Amnesty International Argentina. «Il punto più basso di questa politica è stata la separazione di una madre dai suoi figli» aggiunge. Per sollecitare il ritorno della donna Amnesty ha lanciato ieri la campagna internazionale #VanessaDebeVolver. «Il governo sta violando il diritto all’unità familiare e all’interesse superiore del bambino, garantiti dalla legislazione nazionale e da trattati internazionali», si legge nell’appello che la ong ha inviato al direttore del Dipartimento migrazioni Horacio José García, in cui viene evidenziato anche come il ricorso presentato dalla donna contro l’espulsione sia stato respinto senza che né a lei né al suo avvocato sia stata notificata alcuna motivazione.

IL CASO DI VANESSA Gomez Cueva è un esempio concreto di come il Dnu, il «Decreto di necessità e urgenza 70» emanato nel gennaio 2017 dal governo Macri, stia impattando sulla vita delle persone. Già un anno fa i giudici della Camera Contencioso Administrativo Federal, su sollecitazione del Centro studi legali e sociali (Cels) e della Commissione argentina per rifugiati e migranti (Caref), avevano dichiarato l’incostituzionalità del decreto, sottolineando l’assenza di una «situazione critica» che potesse legittimare l’adozione di «misure urgenti». Contro questo giudizio il governo ha presentato ricorso e, fino a quando non si esprimerà la Corte Suprema, il decreto resterà in vigore. La posizione della Camera rispetto al decreto è la stessa assunta da diverse associazioni.

«È STATO COSTRUITO UN FALSO scenario di urgenza. Il Dnu 70/2017 è una riforma normativa basata su dati che non riflettono la realtà», dichiara il Cels. «Il governo della coalizione Cambiemos introduce misure che complicano l’ingresso e la permanenza nel paese –in particolare per le persone con scarse risorse economiche – come l’aumento del 1000% dei costi da sostenere per i documenti necessari, o l’obbligo di dimostrare la mancanza di precedenti penali, di qualsiasi tipo, negli ultimi dieci anni. Questo, insieme ai discorsi xenofobi dei rappresentanti istituzionali e ai dati falsi diffusi dai mass media, crea un clima di odio», sottolinea Amnesty International, che insieme ad altre ong lo scorso 9 febbraio ha diffuso il documento «Allerta contro le politiche migratorie», inviando contemporaneamente una segnalazione alla Commissione interamericana dei diritti umani (Cidh).

 

 

Nel 2017, associazioni di base e collettivi hanno creato la campagna nazionale Migrar no es delito, dando vita, il 30 marzo 2017, allo sciopero dei cittadini e delle cittadine migranti: il primo nella storia dell’Argentina. Il secondo si è tenuto il 4 settembre 2018, e lo scorso 13 marzo la campagna è scesa in piazza per il terzo Migrantazo. Il corteo è partito dalla Direzione nazionale per l’immigrazione di Buenos Aires per arrivare davanti alla Casa Rosada, sede del potere esecutivo.

«IL GOVERNO CAMBIEMOS incrementa detenzioni e espulsioni, permettendole anche in caso di condanne non definitive o già scontate. Questo criminalizza i migranti, anche laddove partecipino a manifestazioni di protesta in difesa dei propri diritti: una politica che rende le persone più vulnerabili», ha affermato in piazza Lila Báez del Blocco lavoratrici e lavoratori migranti (Btm).

La campagna Migrar no es delito denuncia l’aumento delle discriminazioni conseguente all’emanazione del decreto e al discorso politico ad esso legato: «Il governo indica la componente immigrata della società come responsabile della criminalità presente nel paese. Eppure, secondo il sistema penitenziario argentino il 5,4% della popolazione carceraria è composta da immigrati, mentre il governo parla di più del 20%», segnala Báez, mentre Carla Montero Barriga – anche lei parte del Btm – sottolinea le responsabilità dei mass media, che «danno spazio alle dichiarazioni dei politici e non alla reale situazione del paese». Secondo la campagna, proprio intorno a questo si regge la politica di Macri: «Il governo, diffondendo l’idea che gli immigrati sottraggano servizi ai cittadini argentini, li usa come capro espiatorio per la crisi che sta attraversando il paese. È vero – prosegue Barriga – utilizziamo i servizi argentini. Intanto partecipiamo attivamente alla società: nel tessile siamo il 7,7% della forza lavoro; il 21,7% nel commercio, il 18,6% nel settore edile, il 20,9% nel lavoro domestico e di cura. E queste sono le cifre ufficiali, che non considerano ovviamente il lavoro nero».

Gli attivisti della campagna Migrar no es delito mettono in luce anche altro: «Siamo parte attiva non solo dal punto di vista economico, ma anche sociale – dice Barriga – Nei nostri paesi di origine i diritti alla salute, all’istruzione, al lavoro non sono tutelati. Lottiamo per diffondere la loro garanzia anche nei nostri paesi, e per evitare che vengano ristretti in Argentina, il paese in cui abbiamo scelto di vivere».

LA LEGGE SULL’IMMIGRAZIONE del 2003 sembrava in effetti uno sforzo per tutelare di più le persone: «Gli argentini dovrebbero difenderla con orgoglio conclude l’attivista -. Il governo non investe in cultura, sanità, istruzione: questo, e non la presenza degli immigrati, riduce i servizi. Dobbiamo lottare affinché il governo si faccia carico delle proprie responsabilità. È una battaglia che riguarda tutti e tutte».